Giulio Catelli

Roma 1982
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Nicolas Martino
14 giugno 2024

Giulio Catelli ha studiato Storia dell’arte all’Università La Sapienza e poi Pittura all’Accademia di Belle Arti di Macerata. Pittore, per vocazione fin da adolescente, Catelli lavora soprattutto con la Galleria Richter di Roma, dove attualmente i suoi lavori sono esposti in una mostra insieme a quelli di Gianluca Di Pasquale e Andrea Grotto, e dove ha tenuto le sue personali più importanti.

Catelli appartiene a una generazione che si è distinta soprattutto per aver scelto una pratica artistica legata all’installazione e a tematiche politico-sociali, ma se ne distanzia, avendo abbracciato la pittura in chiave esistenziale e rappresentando, così, un trait d’union con una generazione più giovane che oggi è tornata a dipingere. Ne abbiamo già parlato ampiamente, in queste pagine e in quelle dei «Quaderni d’arte italiana», contrapponendo un realismo politico a quello che potremmo chiamare ‘realismo esistenziale del XXI secolo’, considerando la dimensione sociale dell’arte da un lato e quella intima dall’altra. In questo senso la pittura di Giulio Catelli si richiama a una certa tradizione novecentesca che mantiene un legame con il XIX secolo. Viene da pensare soprattutto a Giorgio Morandi, e a una linea che è stata in parte ripresa da una certa pittura post-moderna a partire dagli anni Ottanta del XX secolo, e che però qui non dà vita a una pittura post-concettuale – giocare alla pittura dopo le sperimentazioni delle neo-avanguardie, per intenderci –, ma alla ripresa di una via alternativa a quella della destrutturazione e reinvenzione del linguaggio. Lontani dagli echi post-sessantotteschi e post-settantasettini, quella che vediamo a studio è una pittura de-ideologizzata e intesa come forma di vita che in un mondo digitalizzato e smaterializzato recupera un rapporto con la dimensione concreta del pennello, dei colori a olio e della tela.

Quella di Giulio Catelli è una pittura di paesaggio en plain air e spesso anche di ritratti, o meglio doppi ritratti, figure umane distese sui prati o a volte scene d’interni, tele per lo più di dimensioni contenute, e sempre realizzate a olio. Vedute dalla finestra, scene di vita quotidiana, non dipinte a cavalletto ma piuttosto con la tela posizionata in orizzontale. Non si tratta di una pittura a memoria (che rimanderebbe, come dicevamo prima, a un’operazione concettuale) ma in diretta, nel tentativo di cogliere la vita e il suo divenire, nei suoi aspetti più banali e allo stesso tempo luminosi. Siamo di fronte a una pittura che si fa poesia delle piccole cose, intima e legata a quella che potremmo chiamare ‘la straordinarietà dell’ordinarietà’. Una pittura che si è liberata dal peso della tradizione e dalla necessità di superarla, citarla, distorcerla (come il bisogno di distorcere la metafisica rammemorandola come unica via d’uscita dalla modernità), e che fa della luce e quindi del colore tenue delle nostre abitudini il perno intorno a cui costruire la sua poetica.

Risiede qui, mi pare, l’importanza della pratica pittorica di Catelli all’interno della scena artistico-culturale di questi anni. La sua è una pittura che non vuole essere né moderna né post-moderna, appartenendo a un mondo ormai ulteriore rispetto a quello che è stato, e nel quale è possibile reinventare daccapo le regole dell’estetica e dell’arte. Il mondo è tornato a essere quello che è, senza infingimenti, pura superficie e apparenza che rimanda a sé stessa senza nascondere nulla. Se è così l’artista può stupirsi di fronte a un giardino e a un volto, come di fronte alla nascita di un mondo nuovo o che si rivela a noi per la prima volta.

Certo quella di Catelli è una strada difficile, e se da un lato è vero che riesce a cogliere un tratto generazionale molto importante, è anche vero che probabilmente la sua pratica potrebbe acquisire maggiore forza se inserita dentro un dialogo e una relazione con scelte altrettanto originali fatte da artisti di generazioni precedenti. Guardando questi lavori, per esempio, è difficile non pensare ad Angelo Mosca, artista sessantenne che da sempre pratica una pittura intima e personale. E se da un lato è vero che questa pittura dovrà resistere alla prova del tempo e del clima culturale, che può cambiare molto velocemente, è altrettanto vero che ci troviamo di fronte a un artista consapevole della difficoltà del sentiero impervio che ha scelto e che percorre con grande coerenza.