g. olmo stuppia

Venezia 1991
Vive e lavora a Venezia
Studio visit di Stefano Coletto
29 giugno 2024

“Vuoi delle mandorle? Vengono dalla Sicilia… costano poco e sono nutrienti.” Chissà perché ripenso proprio a queste parole, pronunciate da Olmo Stuppia in uno dei nostri primi incontri, un improvvisato studio visit a Palazzo Carminati, a Venezia, un po’ di anni fa. Ne seguiranno altri, in spazi diversi, sempre temporanei e precari, sempre un po’ casa e tavolo per computer; lavori sparsi, prove, idee, progetti incompiuti, sognati e desiderati fino in fondo. Olmo (alias g. olmo stuppia) porta con sé, in forma di inconscio, le radici siciliane, ovvero la consapevolezza di un territorio in perenne crisi; isola a rischio di naufragio sociale, instabile eppure aperta, circondata dalla massa viva e informe dell’acqua, di vulcani, di tecnologie, e sempre lì pronta ad accoglierti, anche se vuoi annegare o evitare il naufragio.

Primo percorso di studi a Bologna, con Laurea di Scultura, quindi la specialistica a Venezia presso lo IUAV; seguono borse di studio e le prime esposizioni collettive. Mi colpiva l’ossessione di Olmo per la registrazione; onnivoro, continuamente deluso eppure iperattivo. Uscivi la sera e lui registrava, intervistava, avviava riflessioni, anche inalberandosi nel polemos della parola e dell’analisi critica. Assimilava, o forse intercettava, cercava, rubava. Ripenso alla forma del progetto Koleoos, nel quale, dal 2016, impastava e raccoglieva performance, gesti, azioni curatoriali, talk, installazioni, trasmissioni radio. Negli anni della Bevilacqua sperimentò il camminare esplorativo, il nascondere, l’occultare rispetto al rumore delle immagini che ci piovono addosso e al frastuono incomprensibile che ne consegue. Come si compie questa vitalità?

Sicuramente Olmo è uno degli artisti più anomali della sua generazione; uno dei più colti e dei più teoricamente strutturati per una visione critica e quindi militante della società contemporanea. Ricordo un bellissimo testo di Michel Serres che accompagnava una collettiva, Soffitta Entropica Entusiasta, da lui curata in una casa subaffittata in Calle del Pestrin, dietro Santa Maria Formosa. Sa essere inclusivo come attitudine razionale, eppure anche esplosivo, lacerando relazioni.

“Olmo, i tuoi lavori sembrano nascere da una fatica e da una sofferenza tra il pensare e il realizzare che lascia cicatrici; è come se mandassi a quel paese qualcuno ogni volta che finisci un intervento, vero?”. Ride. Ricordiamo la performance nOIA (Nonostante Oltralpe Insistano Ancora) del 2016 alla Sandretto, per la mostra Campo, con un drone che sollevava uno stendardo con la parola noia, su e giù, in delicato tessuto di chiffon parigino. In lui si fondono tecnologia e attivismo, critica e cristianesimo (che convoca nelle pratiche sociali), demistificazione e desacralizzazione; il suo lavoro si caratterizza per una costante costruzione scenica, alla ricerca di una sceneggiatura che si espande e a volte sembra non compiersi, tra installazioni, audio, video, fotografie, sculture. Ogni Opera come un sasso lanciato contro un valore/disvalore, contro un atteggiamento, contro l’ignoranza. Il suo è un discorso radicale, “faccio l’artista per contenere la violenza contro ciò che trovo ingiusto, d’altronde provengo da una famiglia anarchica e poetica, sono nato in una casa di ringhiera”.

Mi mostra la foto di un drone a terra, un po’ macchina dello sguardo contemporaneo tra sorveglianza, strumento di guerra, relitto abbandonato in un’epoca steampunk. L’artista persegue una sceneggiatura nomade, metamorfica, in divenire, all’interno della quale rientrano più di altre opere gli episodi di Sposare la notte. Si tratta di derive situazioniste (ove ognuno ha depositato telefono e impronte digitali su grandi fogli Fabriano A3 opachi) alla ricerca dell’impensato e del nascosto. Documentari tra silenzi, testi, rumori in presa diretta, corpi che si muovono, seguendo lo spleen poetico e la desolazione di paesaggi abusati dallo sviluppo del capitalocene. Quattro episodi co-prodotti su invito alla Biennale di Venezia al public program del 59mo Padiglione Italia, curato da Eugenio Viola, nel 2022: Palermo e Venezia, i veleni di Sacca San Mattia, Fincantieri di Palermo, quartiere Brancaccio (dove Berlusconi fu consacrato da Rina e Graviano nel 1993) e il nuovo paesaggio del MOSE, con un’egira magistralmente descritta dalla penna di Luca Berta su ATP Diary.

Difficile trovare un lavoro di Olmo risolto, che non porti con sé slabbrature, decostruzioni come distruzioni, un conflitto latente e manifesto contro la pigrizia impolitica giovanilista contro i miti, che ama come ancora di salvezza rispetto all’urgenza dell’impegno civile violento, ma che odia negli aspetti feudali delle dinamiche di lavoro e relazione di un capitalismo di rendite: incompiutezza come destino per stare nel paradosso.