Collettivo nato a Parigi nel 2004 e composto da Fulvia Carnevale e James Thornhill
Ha sede a Palermo
Studio visit di Daniela Bigi
Claire Fontaine ha un’origine francese. Il contesto in cui nasce è la Parigi dei primi anni Duemila. Da qualche anno, però, il suo terreno di vita e di operatività è un altro, e cioè la remota, o centralissima, Palermo. Remota perché distante dai luoghi di potere del sistema dell’arte, centralissima perché la dimensione sociale e culturale del suo tessuto la pone in una posizione privilegiata nel processo di ripensamento dell’oggi e di costruzione del domani. Una scelta, dunque, tutt’altro che casuale.
Chi è Claire Fontaine. È un’identità artistica che unisce due personalità, Fulvia Carnevale e James Thornhill, che scelgono di desoggettivarsi per creare una nuova figura, da leggere non come la somma delle due soggettività originarie ma come uno ‘spazio di lavoro’, un’entità autonoma, altra, che adotta la pseudonimia fisica e concettuale per rispondere a quella crisi dell’autorialità che avverte come una questione ancora irrisolta. L’idea è quella di uno ‘spazio magnetico’, che accoglie e sviluppa idee che non si identificano con creazioni autoriali ma con forme che ‘arrivano’ e che vengono recepite da una sensibilità artistica che si offre di far loro da ‘assistente’ – nell’accezione agambeniana – nello svolgersi di un processo di conoscenza che potremmo forse intendere anche come processo di riattivazione energetica. Sul fondo, per intenderci, c’è l’infrasottile di Duchamp, il pensiero di un ‘materiale magico’ che alberga tra i fenomeni e che attende di essere individuato e recuperato… Mentre parliamo emerge la prospettiva del dono. Mi pare una dimensione molto sentita.
Malgrado siano passati tanti anni dal 2004, torniamo sulla scelta del nome femminile, che una lettura superficiale potrebbe ancora ricondurre a una strategia di tendenza. Ma relegare a un fenomeno di costume, seppure politicamente orientato, l’assunzione di una posizione i cui effetti ricadono concretamente nell’esistenza quotidiana di un uomo, oltre che di una donna, significherebbe non rendere giustizia all’impegno di una coppia che decide di calarsi programmaticamente nella condizione di un’artista-donna e di assumere la posizione femminista come angolazione ‘necessaria’ dalla quale guardare al mondo.
Riflettendo su alcuni dei progetti realizzati, si fa chiaro come in quasi vent’anni di attività l’“artista collettiva” si sia mossa in modo polifonico e polimorfico, adottando sia la scrittura (un ambito da sempre privilegiato dalla ricerca femminista) sia i tanti mezzi espressivi del visivo (scultura, video, installazione, performance, fotografia) per affrontare nodi problematici urgenti, che ci riguardano ogni giorno e che richiedono posizioni di resistenza e di condivisione. Hanno a che fare, inevitabilmente, con la pervasività e la tossicità di un capitalismo che nelle sue varie declinazioni si è via via insinuato fin negli interstizi più reconditi della nostra intimità, disintegrando non solo la dimensione del collettivo ma anche la presunta inviolabilità dell’individuale. Il regime del lavoro, la gestione dell’amore, i diritti civili, il problema ecologico, la maternità, il capitalismo cognitivo, le secche del sistema dell’arte sono solo alcuni degli ambiti tematici ai quali Claire Fontaine si è dedicata, minando assunti comportamentali consolidati, erodendo interpretazioni storiche ortodosse, applicando uno sguardo disincantato con cui smascherare senza sconti, studiando come difendere il vivente, come riappropriarci tutti del presente. In questo percorso di riflessioni, si muove avanti e indietro dentro il Novecento, fermando l’attenzione su eventi, personaggi, testi, contesti che recupera non con l’attitudine archivistica di chi ha come obiettivo la conservazione del passato ma con il piglio militante di chi decide di reimmetterlo nel presente, costruendo nuove connessioni tra pensieri, pratiche, intuizioni che seppure provenienti da fasi storiche superate sprigionano ancora un’energia dirompente. Nessuna cancellazione dunque, nessuna obsolescenza, ma una sensibilità pronta a riconoscere quei semi ancora fecondi che troppo velocemente si è deciso di liquidare. Credo che il valore di Claire Fontaine nel panorama attuale risieda proprio nell’autenticità del suo appassionato slancio politico, nel suo intendere la pratica artistica come una forma di riattivazione e di resistenza, ma anche come uno spazio di studio, in cui sperimentare nuove prospettive, nuove complicità valoriali, nuove intese relazionali. Forse quello che va ancora messo a registro, e siamo d’accordo mentre sollevo la questione, è lo scarto che si avverte tra la militanza accostante dei suoi testi e la sintesi forse troppo radicale dell’immagine, che conferisce una temperatura particolarmente fredda al lavoro, rende difficile la condivisione di quella ricca produzione di pensiero che vorrebbe invece porsi come un fiume che scorre, come una finestra che si apre. Mi verrebbe da dire: come lo spazio per un possibile reincanto.