Romeo Castellucci, Résurrection. Symphonie N. 2 Gustav Mahler Quotidiana - Paesaggio, Nicolas Martino - Res gestae. Romeo Castellucci, Andrea Mastrovito, Museo di Roma, Palazzo Braschi, 26 gennaio - 17 marzo 2024, foto di Carlo Romano

articolo di Cecilia Babolin

Abitare il margine

Cecilia Babolin

Secondo bell hooks, per liberarsi da un regime oppressivo occorre talvolta isolarsi e occupare uno spazio che esiste ai confini della società: il margine. L’emarginazione, reale o simbolica, può diventare un’occasione per creare nuovi spazi d’azione in cui esprimersi e ridefinirsi attraverso altri canoni. Durante l’infanzia della scrittrice afroamericana, cresciuta in un duro regime di segregazione razziale, il posto più sicuro in cui rifugiarsi era la casa della nonna: il focolare domestico, di cui la donna della società patriarcale doveva essere l’angelo custode, si rivelava per bell hooks il luogo della resistenza, dove potersi ritrovare come essere umano nel calore della sua famiglia[1].

Come suggerisce in una sua recente intervista Romeo Castellucci, l’esclusione dalla comunità è la pena che sconta l’eroe tragico nel momento in cui sovverte l’ordine costituito[2]. Eppure, la stessa società escludente considera chi ha appena emarginato come un ‘alieno’, qualcosa che non si riesce a identificare né, quindi, mercificare; un soggetto anomalo, disfunzionale, per questo percepito come una minaccia[3]. Per secoli l’Occidente cristiano e capitalista ha combattuto le alterità come comportamenti devianti o esempi diseducativi, trasformando in creature mostruose le identità che venivano considerate inaccettabili[4]: lo schiavo nero annichilito dalla fatica si trasforma così in zombie, chi abbraccia identità di genere e orientamenti sessuali non eteronormativi diventa un vampiro, mentre è additata come strega la donna emancipata che rigetta la «mistica della femminilità».[5]

Una volta riconosciuto l’altro come nemico, è di conseguenza accettabile il suo annientamento; per esempio, sfogliando la letteratura coloniale emerge l’odio dell’Europa per le popolazioni non occidentali che appaiono ingenue e primitive, corpi privi di intelligenza che possono essere sacrificati per il lavoro fisico[6]. Lo schiavo, completamente disumanizzato dallo sfruttamento, da ‘alienato’ nel senso marxista diventa alieno, o zombie.

Lo zombie è una delle tante creature sospese tra vita e morte presenti in diverse culture del mondo, ma è l’unica la cui storia è strettamente connessa con schiavismo e colonialismo. Il culto degli zombie, sviluppatosi nell’Africa centrale, arrivò ad Haiti attraverso la rotta atlantica degli schiavi, mutando così significato; da entità spirituale, non necessariamente maligna, che può trasferirsi in oggetti o persone, lo zombie diventa lo schiavo vittima di un sortilegio che lo rende incosciente e incapace di ribellarsi[7]. Solo a partire dalla seconda metà del Novecento, con il romanzo Io sono leggenda di Richard Matheson e i film di George A. Romero, lo zombie diventa un pericolo: da vivente in stato catatonico si evolve in morto che torna in vita, cannibale in grado di contagiare l’uomo[8].

Il collettivo Alterazioni Video recupera le radici centro-africane dello zombie con il cortometraggio del 2009 All My Friends Are Dead. Gli artisti seguono l’antropologo Ivan Bargna durante una spedizione nel Bandjoun in Camerun per girare con la popolazione Bamileke un musical horror sugli zombie.

Il cinema, lo strumento che ha contribuito alla diffusione nella cultura popolare dello zombie razzializzato fin dagli anni Trenta[9], è in questo caso contaminato da altri media prelevati da internet. Il film è il frutto di un’attiva partecipazione della comunità, che abbandona il ruolo tradizionale di spettatore[10] e non si limita nemmeno a recitare un copione[11], ma rivendica la figura dello zombie, autoaffermando la propria identità e liberandosi dallo stereotipo razziale[12].

La pratica di produzione collettiva e la conseguente rinuncia all’autorialità, le intrusioni di materiale proveniente dai social network, l’assenza di sceneggiatura o di qualsiasi pianificazione del lavoro, diventano le caratteristiche nodali dei “Turbo Films” prodotti da Alterazioni Video, di cui All My Friends Are Dead rappresenta il primo esperimento. La ricerca della collaborazione dal basso è sicuramente da relazionare con le modalità lavorative degli stessi membri del collettivo, i quali vivono in Italia, a Berlino e New York e si incontrano quasi esclusivamente online, in uno spazio virtuale offerto dalle nuove tecnologie che oggi si può definire pubblico, esattamente come quello reale delle nostre città, e dal quale possono nascere nuove forme di attivismo politico[13]. Come ogni contenuto pubblicato su internet diviene immediatamente di proprietà pubblica, soggetto a continue modifiche e personalizzazioni da parte di chi lo maneggia, così avviene anche per All My Friends Are Dead, di cui circolano in rete diversi montaggi non realizzati dal collettivo, anche molto distanti dall’originale[14].

In seguito a Dawn of the Dead, film del 1978 di Romero in cui lo zombie e la sua tipica bulimia cannibale diventano la metafora dell’avidità del consumatore nel tardo capitalismo, numerose sono state le nuove riletture politiche di questa figura. Lo zombie, in quanto morto che torna in vita, è un rimosso che riaffiora con violenza, il tabù inaccettabile della corporalità della morte, con il quale l’Occidente contemporaneo non è più abituato a convivere[15], il medesimo rimosso di cui parla Nicolas Martino[16] a proposito di Résurrection. Symphonie n. 2 Gustav Mahler di Romeo Castellucci, dove centinaia di cadaveri vengono recuperati a seguito della tragica scoperta di una gigantesca fossa comune.

Lo zombie, senza identità, mai considerato singolarmente ma sempre come parte di un gruppo, è il perfetto rappresentante delle masse; in questa sede è stata già ribadita la forte connessione che lo lega con il mondo del lavoro, non solo quello dello schiavo haitiano, ma anche quello parcellizzato, ripetitivo, demansionato, disumanizzato, in fabbrica o in ufficio[17].

Come per All My Friends Are Dead la finzione cinematografica diventa un potente legante comunitario, quasi quanto lo era la tragedia greca[18], così è anche per il film NUI SIMU (2011) di Marinella Senatore: il cortometraggio mostra l’incontro tra gli anziani minatori della zona di Enna e le generazioni più giovani, totalmente ignare del passato dei loro stessi luoghi di nascita, radunati in un teatro con il pretesto di organizzare dei casting per un’opera cinematografica sulle miniere siciliane. Gli ex minatori, molti dei quali ancora analfabeti, hanno tutti cominciato a lavorare nei primi anni di vita, sacrificando la loro infanzia e la loro salute; nel cortometraggio, Senatore li riunisce intorno a sé come un circolo di saggi, custodi di antichi saperi da trasmettere alla collettività, ma da un certo momento in poi l’artista scompare dall’inquadratura lasciando che siano loro a portare avanti il film, a raccontarsi autonomamente, a condividere i propri ricordi con i giovani in ascolto[19]. La rinuncia sul controllo dell’opera sarà poi cruciale per Marinella Senatore anche per la nascita della celebre School of Narrative Dance, nata proprio in seguito all’esperienza in Sicilia, che propone un’idea di pedagogia alternativa, nomade, non gerarchica; anche in questo caso, l’artista dà il via al processo creativo che prende poi vita spontaneamente attraverso la collaborazione dei vari partecipanti, tra i quali spesso si uniscono anche persone emarginate o appartenenti a minoranze, attratte dalla possibilità socializzante offerta dalla Scuola, al pari delle feste collettive o delle manifestazioni di protesta[20]. Come racconta la stessa Senatore, queste opere sono da considerarsi site-specific perché nate all’interno di comunità sempre diverse, con approcci e metodi mai uguali[21], in modo analogo ai Turbo Films, sviluppati a partire da un determinato contesto («The location is half of the job: make sure you pick the right one. Let the location act itself out. Let it scream»[22]) e mai da una sceneggiatura dettagliata.

In questa prospettiva, anche lo spazio cosmico, senza confini giuridici, e dunque senza leggi, è il luogo dell’inclusività in cui trova posto l’emarginato, come ci insegna l’Afrofuturismo, che lo reinterpreta come campo d’azione di una nuova diaspora[23], l’esplorazione dell’ignoto che, storicamente, la cultura occidentale ha vissuto e che è stata, invece, negata alla popolazione nera. L’essere nomade, l’alieno per eccellenza, ha delle affinità con l’eroe tragico descritto da Castellucci: non, dunque, colui che romanticamente sceglie questa vita, ma chi è costretto a migrare; in entrambi i casi sono persone che sfuggono alle maglie legislative e disturbano l’ordine sociale[24]. Il nomadismo è, inoltre, un atto creativo: rinunciando a ogni categoria socio-simbolica esistente, dalla famiglia allo Stato, fino al dominio maschile, si abbattono confini e muri per definire nuove possibilità[25].

Nell’opera Vampires in Space del 2022 di Pedro Neves Marques, l’alieno è anche la creatura extraterrestre a cui siamo abituati: cinque vampire (una donna cisgender e quattro donne transgender) cercano di liberarsi dalla melanconia tipica della loro specie e partono alla scoperta del cielo. Le cosmonaute lasciano la Terra per un altro pianeta, ma solo nello spazio riconoscono le loro ideali condizioni di vita; qui non sorge il Sole, non c’è luce, e non esiste la naturale alternanza di giorno e notte. Una notte eterna, come eterna è la loro sospensione tra vita e morte: la stessa condizione esistenziale di ‘bilico’ che vive chi attraversa e distrugge il binarismo di genere. Allontanandosi dalla Terra, le astro-viaggiatrici si lasciano alle spalle anche il pregiudizio secolare che associa il vampirismo alla depravazione sessuale[26] e alle epidemie, dalla peste di epoca moderna all’AIDS in tempi più recenti[27]. È importante ricordare che l’AIDS è stato a lungo associato alla comunità queer, in particolare a uomini gay e donne transgender, come rivela l’acronimo ʽGRIDʼ, che stava per Gay-Related Immune Deficiency[28].

La cattiva fama della figura del vampiro, presente persino ne Il Capitale di Karl Marx come metafora dell’azione parassitaria del capitalismo, resiste in NYsferatu – Symphony of a Century (2017) di Andrea Mastrovito con una diversa sfumatura: il protagonista vampiro è il migrante economico, il rifugiato politico[29], appena sbarcato a New York, che porta con sé la sciagura della guerra da cui scappa.

Durante il film Vampires in Space si vede una delle protagoniste leggere un volume della serie a fumetti pubblicata dalla Marvel Comics, New Mutants, incentrata sulle vicende di giovani supereroi mutanti; questo dettaglio, oltre a fornirci un altro paragone rispetto alla condizione delle persone transgender, può aiutarci a introdurre la fantascienza come tema di indagine in Pedro Neves Marques, suo grande interesse insieme all’antropologia. Citando l’antropologa Anna Tsing, per Neves Marques l’alterità è un’invenzione coloniale per legittimare la conquista delle nuove terre scoperte, alterità di cui resta traccia nella letteratura fantastica di epoca moderna e, successivamente, nella fantascienza[30]. Altro tema caro all’artista è la messa in discussione dell’eteronormatività, come orientamento sessuale, legante sociale e come forma di disciplina dei corpi; le persone che popolano i suoi video vivono relazioni sentimentali che superano la classica coppia eterosessuale, esplorano le possibilità che scienza e biologia possono offrire ai loro corpi cercando di abbattere anche i tabù più ostici come la gravidanza maschile, che compare per esempio nei corti A Morbida (The Bite) del 2018 e Becoming Male in the Middle Ages del 2022. Il mito della gravidanza maschile, nato probabilmente nel contesto dei manga giapponesi e diffuso su internet grazie a racconti brevi, romanzi amatoriali e fan art, affascina l’artista come possibile soluzione all’infertilità e come mezzo per poter liberare finalmente il corpo femminile dal dovere sociale della riproduzione, ma, allo stesso tempo, rischia di riproporre il medesimo schema eteronormativo basato sulla famiglia tradizionale nelle coppie omosessuali[31].

Altre creature nomadi, ibride e aliene sono le “donne di fora”, entità del folclore siciliano simili a streghe e, per questo, a lungo perseguitate durante la dominazione spagnola della Sicilia, ma ancora oggi sopravvissute nella memoria popolare. Potevano intendersi come straniere ma anche “fuori di senno”, esseri polimorfi dal punto di vista del genere e della specie; ma “fora” sta anche a significare lo spazio esterno: secondo alcune fonti le “donne di fora” erano emancipate, uscivano di notte per esplorare luoghi magici, danzare e banchettare[32]. Queste donne, come molte altre accusate di stregoneria, rifiutavano, quindi, la dimensione domestica e il ruolo di moglie e madre previsto dalla società, scegliendo, invece, una vita inoperosa ed erratica che ne causò la repressione[33].

Nell’opera “U Scantu”: A Disorderly Tale di Elisa Giardina Papa (2022), le “donne di fora” sono rappresentate come giovani ragazze che si spostano in gruppo su biciclette accessoriate con grandi casse per la musica. Vivono occupando le architetture utopiche di Gibellina Nuova, la città costruita in seguito al terremoto del 1968, che distrusse il borgo antico e nel quale morirono numerosi suoi abitanti. Il progetto ambizioso di ricostruzione coinvolse artisti e architetti per realizzare una moderna città ideale, ma i lavori partirono solo nel 1972, dopo che molte persone rimaste sfollate si rassegnarono a trasferirsi altrove, approfittando di biglietti ferroviari gratuiti e facilitazioni nelle pratiche per ottenere il passaporto concessi eccezionalmente dallo Stato italiano; gli spazi delle città nuova presero forma lentamente, con lunghe interruzioni e riprese (il Grande Cretto di Alberto Burri, inaugurato solo nel 2015, ne è l’esempio più emblematico), non tutti i progetti furono portati a termine o rispettati del tutto e non sempre i pochi abitanti rimasti accolsero positivamente il risultato finale, a volte poco unitario e labirintico[34]. In “U Scantu”, la profonda prospettiva di portici assolati di Franco Purini e Laura Thermes e la monumentale sfera bianca di Ludovico Quaroni per la Chiesa Madre si trasformano nel covo delle “donne di fora”; la città spettrale e silenziosa è invasa dalla musica, dalle biciclette da corsa, da corpi non conformi che non avrebbero trovato posto altrove.

La condizione femminile e l’evoluzione del lavoro nel sistema capitalistico sono tra le tematiche principali di molti lavori di Elisa Giardina Papa; nella bibliografia indicata dalla stessa artista come fonte ispiratrice per “U Scantu”[35], troviamo il testo di Silvia Federici, Calibano e la Strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, che considera la caccia alle streghe come una risposta delle istituzioni alle contemporanee crisi demografiche ed economiche tra i secoli XVI e XVII, dimostrando così come la definizione dei ruoli di genere e la conseguente reclusione domestica della donna siano state il risultato di un’invenzione durante la formazione della moderna società capitalistica.

Con Alterazioni Video, con cui ha collaborato in più occasioni, Giardina Papa condivide l’uso di internet come mezzo di ricerca e strumento espressivo, ma anche l’attenzione ai legami sociali che si creano online e nello spazio reale; nel 2009 organizza con il collettivo l’azione ludica partecipativa Il carrellino d’oro, una corsa a ostacoli per trasportare pacchi con un carrello per le merci lungo via Paolo Sarpi a Milano, zona nota per la massiccia presenza di attività commerciali cinesi, non sempre in buoni rapporti con il comune[36].

In Technologies of Care (2016), l’artista raccoglie le testimonianze di quattro donne che utilizzano internet e le nuove tecnologie per lavorare da remoto; come suggerisce il titolo, queste nuove professioni digitali sono di fatto lavori di cura, storicamente associati alla sfera femminile, come il servizio di assistenza clienti, la condivisione di contenuti erotici, l’offerta di interazioni sui social network o nei vari sistemi di messaggistica istantanea. Molte di queste donne vivono in Paesi che attraversano gravi crisi economiche e il lavoro digitale permette loro di guadagnare facilmente, senza essere costrette a migrare e mantenendo l’anonimato (che consente tra l’altro anche di non rivelare il loro genere e, di conseguenza, non subire molestie sessuali o discriminazioni sessiste come il gender pay gap), rinunciando però a qualsiasi forma di tutela sindacale o legale. Opere come quest’ultima, o come Cleaning Emotional Data del 2020, indagine sui database dell’Intelligenza Artificiale creati per riconoscere le emozioni umane, svelano come il web abbia velocemente superato la fase utopistica iniziale, basata sullo scambio gratuito di informazioni e sulla socialità, per divenire un territorio strettamente sorvegliato e dominato da efferate logiche capitalistiche[37].

Rosi Braidotti ha dimostrato come la cultura occidentale nata dall’Umanesimo, antropocentrica e positivista, fosse, in realtà, notevolmente escludente, razzista, maschilista, classista, tanto da produrre fenomeni come capitalismo e colonialismo[38]. Nella società contemporanea occidentale le relazioni umane sono state desertificate: gli odierni incessanti ritmi lavorativi sottraggono tempo per nutrire amicizie e formare reti politiche, sgretolando così le comunità locali in piccoli nuclei familiari, spesso dominati da logiche patriarcali[39]. Proprio per questo, contrariamente alla rappresentazione canonica per cui l’eroe tragico agisce in solitaria, bell hooks auspica la creazione di legami affettivi saldi, affinché sia possibile sopravvivere e resistere nel margine.

Gli esempi qui riportati mostrano, appunto, come piccole comunità precarie di individui oppressi abbiano trovato la loro casa ai margini del mondo che li respingeva. La nostalgia è un lusso che non possono permettersi, dopo secoli di persecuzioni: rimpiangere il passato è impensabile, mentre il futuro è tutto da creare.


[1] B. hooks, Elogio del margine. Razza, sesso e mercato culturale, Feltrinelli, Milano 1998.
[2] R. Castellucci in G.M. Tosatti, L’oggetto rovente. Una conversazione con Romeo Castellucci, in «Quaderni d’arte italiana» n. 02, #popolare, giugno 2022, < https://quadriennalediroma.org/loggetto-rovente-2/ >.
[3] Men in Red, Ufologia radicale. Manuale di contatto autonomo con extraterrestri, Castelvecchi, Roma 1999.
[4] Cfr. R. Braidotti, Madri, mostri e macchine, Manifestolibri, Genova 2005.
[5] B. Friedan, The Feminine Mystique, Dell Publishing CO., New York 1974.
[6] Fin dalla prima colonizzazione spagnola, il razzismo riveste un ruolo centrale nel giustificare lo sterminio o la riduzione in schiavitù dei nativi americani, attraverso la diffusione di dettagli macabri e scabrosi sulle loro abitudini, quali cannibalismo e depravazione sessuale, o cercando nei testi sacri una conferma di questa presunta inferiorità, derivata, per esempio, dalla discendenza diretta da Satana. Nel Settecento, momento in cui la tratta degli schiavi dall’Africa alle Americhe raggiunge il suo apice, si sviluppa un primordiale movimento abolizionista, osteggiato però da alcuni tra i più celebri filosofi illuministi come Voltaire, sostenitore di una teoria delle razze secondo la quale alcune di queste sarebbero naturalmente portate a essere schiavizzate per il loro temperamento docile e lo scarso ingegno. Infine, con la nascita della moderna antropologia nel XIX secolo, il razzismo vive una nuova legittimazione grazie alle teorie scientifiche evoluzionistiche. Cfr. G. Gliozzi, a cura di, La scoperta dei selvaggi. Antropologia e colonialismo da Colombo a Diderot, Principato Editore, Milano 1980; A. Burgio, Il discorso razzista come giustificazione dello sfruttamento, < https://www.machina-deriveapprodi.com/post/il-discorso-razzista-come-giustificazione-dello-sfruttamento-e-dell-esclusione-sociale >.
[7] L. Maltz-Leca, De-animazione: un indice zombie della dimenticanza, in AA.VV., Andrea Mastrovito: To Draw Is To Know, Magonza, Arezzo 2023, pp. 120-127.
[8] M. Coulombe, Piccola filosofia dello zombie, o come riflettere attraverso l’orrore, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2014.
[9] Ibidem.
[10] J. Rancière, The Emancipated Spectator in «Artforum», vol. 45, n. 7, marzo 2007, < https://www.artforum.com/features/the-emancipated-spectator-175248/ >.
[11] T. Ariemma, TechnoPop. Oltre l’artista, verso l’artista, in «Quaderni d’arte italiana» n. 02, #popolare, giugno 2022 < https://quadriennalediroma.org/technopop/ > .
[12] H.K. Bhabha, I luoghi della cultura, Meltemi, Roma 2001.
[13] G. Pellicari, Spazio pubblico, immaterialità e fruizione online. Alterazioni Video ad Augmented Place, inG. Bartorelli,a cura di, Augmented Place. L’arte aumenta la realtà, catalogo della mostra, Galleria e Piazza Cavour, Padova, 8 novembre – 9 dicembre 2012, CLEUP, Padova 2012.
[14] Alterazioni Video, The Africans Turbo Films: All My Friends Are Dead and Turbo Anthropology e M. Lucchetti, Shitstorm Kings, in Turbo Films: All my friends are dead and Turbo Film Anthropology, Alterazioni video (a cura di), Logo Fausto Lupetti, Bologna 2016.
[15] A. Lucci, Metafore della non-morte. Riflessioni culturologiche sul potenziale metaforico della figura dello zombie in «tròpos», a. IX, n. 1, 2016.
[16] N. Martino, Res gestae. Il sentimento tragico della storia nell’arte italiana del XXI secolo, https://quadriennalediroma.org/wp-content/uploads/2024/01/Q_Paesaggio_NicolasMartino.pdf.
[17] 2A. Lucci, Metafore della non-morte, cit.
[18] G.M. Tosatti, L’oggetto rovente, cit.
[19] Intervista di Tenley Bick a Marinella Senatore del 4 dicembre 2020 < https://www.youtube.com/watch?v=c2xdzigErhA >.
[20] S. Carbone, Marinella Senatore. Le forme dell’effimero e la costruzione di comunità, in «roots§routes. Italianità», a. VI, n. 23, dicembre 2016 < https://www.roots-routes.org/marinella-senatore-le-forme-delleffimero-la-costruzione-comunita-serena-carbone/ >.
[21] G. Ludovici, The School of Narrative Dance: corpo, movimento, partecipazione e fioritura. Intervista con Marinella Senatore in «roots§routes. L’educazione nel corpo. Per una somatica della relazione pedagogica», a. XI, n. 36, maggio – agosto 2021, < https://www.roots-routes.org/the-school-of-narrative-dance-corpo-movimento-partecipazione-e-fioritura-intervista-con-marinella-senatore-di-ginevra-ludovici/ >.
[22] Alterazioni Video, The Turbo Film Manifesto, in Alterazioni Video, Turbo Film and the Uncertain Future of Moving Image, cit.
[23] C. Attimonelli, Genealogie dell’Afrofuturismo: la black sci.fi per finirla con l’Umanesimo, in «roots§routes. Afrofuturismo. Spazi, corpi, immaginari, estetiche, pensiero dell’afrotopia», anno IX, n. 31, settembre-dicembre 2019, < https://www.roots-routes.org/genealogie-dellafrofuturismo-la-black-sci-fi-per-finirla-con-lumanesimo-di-claudia-attimonelli/ >.
[24] R.J.C. Young, Introduzione al postcolonialismo, Meltemi, Roma 2005.
[25] R. Braidotti, Nuovi soggetti nomadi, a cura di Anna Maria Crispino, Luca Sossella editore, Roma 2002.
[26] R. Dyer, Children of the Night: Vampirism as Homosexuality, Homosexuality as Vampirism in G. Williams, a cura di, The Gothic, Documents of Contemporary Art, Whitechapel e MIT Press, Londra e Cambridge, Massachusetts, 2007.
[27] V. Teti, La melanconia del vampiro, Manifestolibri, Roma 1994.
[28] L. Bernini, Le teorie queer. Un’introduzione, Mimesis, Milano-Udine 2017.
[29] N. Martino, Res gestae, cit.; C. Slanar, Animazione come agentività: a proposito di NYsferatu – Symphony of a Century e I Am Not Legend di Andrea Mastrovito, in AA.VV., Andrea Mastrovito: To Draw Is To Know, cit., pp. 102-105.[30] P. Neves Marques, If Futurity Is the Philosophy of Science Fiction, Alterity Is its Anthropology, in Sven Lutticken, Eric De Bruyn,a cura di, In Futurity Report, Sternberg Press, Berlino 2020 < https://www.pedronevesmarques.com/texts/PedroNevesMarques_IfFuturityIsThePhilosophyofSFAlterityIsItsAnthropology_FuturityReport_SternbergPress_2019.pdf >.
[31] Idem, Male Pregnancies, Exowombs, and the Meltdown between Hetero – and Homonormativity in In The Stomach and the Port: Liverpool Biennale Reader, Liverpool, 2021< https://www.pedronevesmarques.com/texts/PNM_Mpregexowombsandthemeltdownbtwnhetero%20homonormativity_liverpoolbiennial_2021.pdf >).
[32] C. Geremia, Lo strano caso delle streghe di Sicilia: donne de fora, streghe, fate e guaritrici (XVI‑XIX sec.), in «ILCEA» n. 45, 2022 < https://journals.openedition.org/ilcea/14529 >.
[33] S. Federici, Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l’accumulazione originaria, Mimesis, Milano-Udine 2015.
[34] C. Costanzo, Gibellina. Memoria e utopia. Un percorso d’arte ambientale, Marsilio, Venezia 2022.
[35] < https://www.labiennale.org/it/arte/2022/il-latte-dei-sogni/elisa-giardina-papa >.
[36] F. Guerisoli, Il corpo collettivo. Note sulla Milano dei primi anni Duemila in «Quaderni d’arte italiana» n. 04, #identità, dicembre 2022, < https://quadriennalediroma.org/il-corpo-collettivonote-sulla-milano-dei-primi-anni-duemila/ >.
[37] T.H. Hui, How AI Manufactures a Smile: Tung-Hui Hu Interviews Artist Elisa Giardina Papa on Digital Labor in «Media-N», vol. 16, n. 1, primavera 2020, < https://www.researchgate.net/publication/340067837_How_AI_Manufactures_a_Smile_Tung-Hui_Hu_Interviews_Artist_Elisa_Giardina_Papa_on_Digital_Labor >.
[38] R. Braidotti, Il postumano. La vita oltre l’individuo, oltre la specie, oltre la morte, DeriveApprodi, Roma 2014.
[39] N. Fraser, Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta, Editori Laterza, Bari-Roma 2023.