Tra critica e informazione. Le riviste nei tempi che cambiano

Certamente le riviste nascono da un’istanza critica. Bisogna comprendere, però, quello che si intende con critica.

Innanzitutto, è importante dire che per scrivere di qualcosa si deve conoscerla a fondo, per cui, la prima cosa da fare è studiare l’oggetto di indagine: vedere la mostra, parlare con l’artista, parlare con il curatore, leggere tutta la documentazione relativa alle opere. Ancora meglio se si conosce bene l’artista e il suo percorso.

A me interessa leggere ciò che viene scritto da persone competenti sull’argomento.

Altra questione: critica, dal verbo greco krino che vuol dire separare, discernere, indica il giudizio. Il giudizio non è necessariamente negativo.

È vero che il dibattito critico è sempre meno presente sulle riviste, ma l’autorevolezza non dipende dall’età o dal compenso ricevuto. L’autorevolezza, a mio avviso, dipende dalla preparazione del critico e, soprattutto, dalla conoscenza che ha dell’artista: io posso essere autorevole su Carla Accardi, Gino De Dominicis e Paola Pivi, meno su Achille Perilli, Emilio Prini e Piero Golia. Qualcuno pensa che alcune riviste online si siano trasformate in siti di news, ed è vero che molte di esse hanno incrementato la parte informativa anche per ragioni economiche. Tuttavia, un’attitudine più critica sembra sopravvivere soprattutto in quelle più piccole. Le riviste sono state a ogni modo una palestra nella formazione di varie generazioni di critici. Certo, un tempo queste ultime erano dedicate a un più ampio dibattito. Ricordo, per esempio, il confronto su «Flash Art» di molti artisti, da Jannis Kounellis a Enzo Cucchi… Ricordo Giancarlo Politi recarsi negli studi con Helena Kontova e, a volte, anche con Giacinto Di Pietrantonio. Questo, effettivamente, favoriva la discussione. Ora, scrive Gea Politi: «Flash Art è nato nel 1967 a Roma, quando parlare di arte contemporanea era un’attività quasi carbonara. Il primo numero fu stampato nella tipografia dei preti a Macerata, con i caratteri dei bollettini parrocchiali, diventando subito il simbolo della ricerca e della contemporaneità. Sul numero 5 un giovane Giancarlo Politi ospitò un altrettanto giovane Germano Celant con un pezzo dal titolo Appunti per una guerriglia, che poi diventò il manifesto dell’Arte Povera… Nel 2015 ho introdotto la mia direzione con una nuova redazione specializzata nelle tematiche più urgenti e attuali. Abbiamo lavorato sul sistema e panorama artistico italiano per quasi dieci anni, e ora Cristiano Seganfreddo prende la direzione di Flash Art Italia con un nuovo scopo e intento, che sarà condiviso con noi nei prossimi mesi. Nel 2024, l’edizione italiana verrà rivista diventando un annuario». Gea e Cristiano sono giovani, vitali e intelligenti e faranno sicuramente un lavoro interessante. Vedremo se questo format sarà in grado di scrivere una nuova pagina nella storia delle riviste.

È sicuramente giusto e comprensibile cercare nuove strade. D’altra parte, a mutare non è stata soltanto l’editoria di settore: è cambiato tutto il sistema dell’arte. Le fiere e le aste hanno preso il posto del sistema delle gallerie. I galleristi, che a me hanno fatto scuola, come Plinio De Martiis, Luciano Pistoi, Leo Castelli e Ileana Sonnabend, non esistono più. I collezionisti come Consolandi e Tettamanti, nostri compagni di strada, non ci sono più. Lo stesso vale per i precursori dei curatori, grandi intellettuali come Harald Szeemann, Jean-Christophe Ammann, Jan Hoet. Chissà cosa penserebbe Kounellis, che diceva: «io ho dovuto prendere una valigia e ho perso le dolcezze», dei nuovi artisti globalizzati e provenienti dalle aree più remote del mondo. Il mercato dell’arte è completamente trasformato. Ovviamente le metamorfosi vanno sempre accettate. Resisterà il sistema delle riviste a questo tsunami? Una cosa è sicura: discutere ha fatto, fa e farà sempre bene.