Simone Scardino

Torino 1995
Vive e lavora a Torino
Studio visit di Osservatorio Futura (Francesca Disconzi e Federico Palumbo)
30 giugno 2024

Durante il periodo di formazione alla scuola di Grafica d’arte dell’Accademia Albertina, Simone Scardino acquisisce, grazie al docente Franco Fanelli, una vera e propria forma mentis che lo accompagnerà per tutta la sua ricerca. Frequenterà poi il biennio, prima come allievo di Mario Airò, e poi di Franko B, esplorando in questo contesto diverse tecniche scultoree. Oltre allo studio torinese, condiviso con altri artisti, Scardino si prende cura dell’orto sociale di Barriera di Milano, avuto in concessione dal comune di Torino per cinque anni. Qui ha imparato l’orticoltura da autodidatta, interessandosi soprattutto al rapporto diretto tra territorio e comunità.

Il binomio natura-cultura è tema costante della ricerca di Scardino e la formalizzazione delle sue opere è conseguenza di ragionamenti e studi transdisciplinari sull’argomento. L’apertura del perimetro del suo lavoro, così come l’utilizzo di medium diversi, va infatti di pari passo con il complesso tema che l’artista affronta, oltre che con la metodologia applicata al campo d’indagine. Vi è infatti da parte sua un profondo interesse per scienze come l’antropologia, la sociologia e l’ecologia, attraverso le quali cerca di analizzare il tentativo di imitazione della natura da parte dell’arte. Scardino studia quindi dicotomie e incongruenze che intercorrono tra l’uomo e l’ecosistema a cui appartiene, e che hanno innanzitutto a che fare con la difficoltà nel definire la natura stessa da un punto di vista ontologico.  Il La frequenza nel suo lavoro del concetto di matrice deriva dall’interesse dell’artista verso una serialità che, attraverso l’unione di pezzi omogenei tra loro, si carichi di forza collettiva e trasformativa; inoltre, la ripetizione ha per Scardini un chiaro rimando al processo della rigenerazione naturale.

L’approccio all’ecologia messo in atto da Scardino non appare mai catastrofista, ma si concentra invece sui processi curativi che possono essere messi in atto dalla collettività. L’attenzione dell’artista è infatti sempre volta alla dimensione sociale, come testimonia il lavoro che porta avanti con l’orto di Barriera di Milano, dove la stessa auto-produzione di ortaggi è pratica di resistenza e riappropriazione di ritmi naturali. A tal proposito citiamo il convivio messo in atto dall’artista insieme ad alcuni studenti dell’Accademia Albertina che, dopo aver recitato alcuni testi sull’ecologia, sono stati invitati a plasmare impasti cotti nel forno sociale dell’orto. Le forme di pane sono state poi adagiate su canovacci serigrafati dall’artista, raffiguranti alcune illustrazioni di orticoltura tratte dal Tacuina sanitatis del 1400, e poi condivise. Tutti questi aspetti riflettono, ancora una volta, la complessità dei rapporti intra e fra specie, tema molto ampio e di grande attualità.

L’attenzione per la serialità è anche al centro del lavoro che ha tenuto impegnato Scardino nell’ultimo anno, ossia la restituzione della residenza Inedita a Venezia. In quest’occasione ha lavorato sull’area di San Giobbe, dove a inizio Novecento sorgeva l’orto botanico del capoluogo veneto. Durante la guerra, l’orto è stato sostituito da un silurificio, trasformandosi così da luogo vitale a centro di morte e distruzione. La raccolta di dati ed elementi organici ha portato Scardino a realizzare Bravi solo sulla carta, installazione composta da 76 fogli (numero che riprende gli anni di attività dell’orto); questi, realizzati partendo da un impasto di cellulosa e da pagine di vecchi archivi, custodiscono nella loro filigrana alcuni semi di piante selvatiche che, fungendo da attivatori, sono in grado di rigenerare il luogo stesso insieme alla sua storia.

Quella di Scardino è una formalizzazione che richiede una grande predisposizione all’ascolto e all’indagine da parte del fruitore, il che può rappresentare una difficoltà nella lettura complessiva del lavoro. Proprio per questo, nell’ultimo periodo, si sta focalizzando anche su diversi materiali per renderla meno derivativa. Una delle sfide più grandi è infatti quella di porre dei limiti al proprio campo d’indagine, per mantenere una coerenza di fondo anche da un punto di vista formale.

In generale il lavoro appare profondo e consapevole; nella sua pratica, l’artista evita un tipo di approccio unidimensionale, per dare spazio invece a una stretta connessione tra una moltitudine di discipline scientifiche, lasciando così spazio e respiro a una ricerca ricca, attuale e generativa.

Foto di Davide D’Ambra