Roma 1994
Vive e lavora a Bologna
Studio visit di Edoardo De Cobelli
4 febbraio 2024

Gelateria Sogni di Ghiaccio, storico spazio indipendente nel centro a Bologna, accoglie da anni mostre ma anche lo studio di Mattia Pajé e, presto, di Paolo Bufalini. La topologia del suo studio si estende alla casa, al magazzino, al computer e a un server esterno, dove da alcuni mesi va accumulandosi il materiale del suo ultimo progetto.

Lo spazio fisico è per Paolo un luogo dove sperimentare gli allestimenti, formalmente disposti e scenograficamente concepiti nelle sue mostre, come raccontava nel prima studio visit di Marco Scotti, un aspetto che merita di essere approfondito. Le sue personali si colorano spesso di un’atmosfera che dilata il tempo e muta i connotati del luogo: arancione tramonto da Massimo, Milano, marrone fango nella personale da Gelateria, ma anche bianco scientifico de La Rada, Locarno, non a caso una mostra collettiva.

La sperimentazione della ricerca artistica di Bufalini nasce dall’incontro tra il carattere scientifico e razional-tecnocratico e quello, oggi recessivo eppur presente, di natura mistica, esoterica e magica della vita e dell’esistenza. La vocazione scientifica delle sue opere può misurarsi a partire dall’attenzione anatomica che ha nei confronti delle ossa, che dispone con serietà e ironia: teschi, mandibole e denti nascosti in contesti estranei, come la scatola di un puzzle. La distruzione o il disfacimento di questi oggetti rivela il richiamo verso il senso di caducità della vita, il classicheggiante memento mori. Y è, invece, una serie di sculture in vetro borosilicato contenenti acido idrocloridrico, capace di sciogliere, nell’arco di alcuni mesi, un dente da latte presente sul fondo dell’opera.

All’estremo (apparentemente) opposto, si manifestano, invece, la curiosità e il fascino per l’esplorazione della divinazione. Sfere di cristallo catalizzano l’attenzione del visitatore nella mostra Eve, dove sostano poggiate in equilibrio su una sella o, in Untitled, nascoste dentro magli d’acciaio, mentre l’azione propriamente interpretativa della divinazione emerge dalle sculture esposte nella mostra Beloved. Nella tradizione della cosiddetta ‘molibdomanzia’ del centro-est Europa, immergendo stagno fuso nell’acqua fredda, emergono forme che assumono significati interpretabili, una pratica diffusa alla fine dell’anno per l’anno nuovo.

I due interessi sono, negli allestimenti di Paolo Bufalini, due facce della stessa medaglia. Dove la caducità dell’esistenza apre a una concezione della vita che da tecnocratica diventa mistero inconoscibile, la divinazione è una chiave per cogliere il tratto di questa unione in una visione al tempo sospesa, enigmatica, ma anche composta, rassegnata e rassicurante.

Le mostre aprono su un angolo del pensiero dove il tempo si ferma, sospeso, disperdendosi tra elementi di archeologia del futuro e di un presente inattuale. Come un insieme di oggetti da decifrare, Bufalini crea intuitivamente immagini mentali che nella mostra trovano organicità, tra l’onirico e l’escatologico.

Il tempo è l’elemento principale del progetto a cui l’artista sta lavorando in questo momento, in relazione alla memoria e all’AI. In queste ultime settimane ha scansionato migliaia di fotografie di famiglia per darle in pasto a modelli generativi di intelligenza artificiale, un processo chiamato fine tuning, che permette di ricreare volti e situazioni mai esistite. Il progetto non solo riflette sulle potenzialità dei software che abbiamo recentemente iniziato a scoprire, ma anche sulla costruzione di una storia, un’identità che si fonda sul passato, nonché sulla possibilità di modificarlo dal futuro. Nuovi album di famiglia riscriveranno la memoria visiva personale. E tra i lavori più recenti dell’artista si nota una riscoperta degli episodi autobiografici. Un interesse verso la propria storia, che si dissocia dalle mostre passate, pur non rappresentando un vero e proprio capitolo della sua ricerca.

Parlando insieme del rapporto tra arte e altre discipline creative, Paolo ha sottolineato un aspetto interessante, ovvero che nella scrittura, nel cinema e nella musica gli autori si esprimono principalmente attraverso storie e narrazioni personali, mentre nell’arte questo certamente è presente, ma spesso non è benvenuto, come se avesse scarso valore universale o insufficiente dignità artistica. Nella sua scelta autobiografica, peraltro approfondita nel progetto raccontato poco sopra, ci sono una consapevolezza e una sperimentazione che mi erano inizialmente sfuggite, probabilmente più mature rispetto alle mostre che hanno fatto conoscere il suo lavoro in Italia.