Ottavia Plazza

Alessandria 1992
Vive e lavora a Torino
Studio visit a cura di Osservatorio Futura (Francesca Disconzi, Federico Palumbo)
8 ottobre 2023

Ottavia Plazza si trasferisce a Torino per studiare pittura presso l’Albertina. Inizia dunque ad avere consapevolezza della sua pratica artistica e dei meccanismi che regolano il sistema dell’arte anche grazie alla frequentazione, dopo l’orario di lezione, degli spazi messi a disposizione dall’Accademia. Nel 2016, insieme a un gruppo di giovani artisti, fonda Spaziobuonasera, nato dalla volontà di esporre le opere dei fondatori e di progettare scambi internazionali con altri artisti.

Plazza riflette su come la pittura possa cambiare la percezione di uno spazio, soprattutto in relazione all’uso del colore: rosso scuro e blu ─ tinte onnipresenti nelle sue opere ─ sono per lei il punto di partenza con cui creare piani prospettici e profondità. La prima mostra personale dell’artista (Che il mondo intero sia di polvere rossa, 2019, Spaziobuonasera) tenta proprio di ricostruire, tramite il medium pittorico, un ambiente reale grazie anche ad alcuni interventi diretti sulle pareti.

Plazza rappresenta unicamente spazi interni, spesso scanditi da un’architettura solenne e atemporale, pur prediligendo lo spazio domestico. Ambienti familiari, come la casa della sua infanzia, si rivelano in alcuni dettagli ricorrenti delle sue opere, ad esempio in un caldo pavimento in cotto. La pittura diventa strumento per tradurre la sua memoria visiva, che si materializza su tela come spazio non fedele alla realtà, in cui subentra una distorsione dettata dall’immaginazione e dal desiderio. Lo spazio prospettico è quindi volutamente sbagliato e bidimensionale e ogni elemento tende a venire in avanti, quasi a voler andare contro chi guarda, producendo un senso di smarrimento. La figura umana non è mai presente nelle opere di Plazza, poiché a completare la visione è il fruitore stesso. Si tratta infatti di ambienti che sono stati vissuti, in cui la traccia dell’uomo è presente in maniera indiretta, quasi si trattasse di una ‘voce narrante’ o di una presenza misteriosa che si intuisce, ma non si vede. Il legame con l’attualità spesso si traduce in una segreta e sottile corrispondenza. Nel suo studio l’artista ascolta qualsiasi cosa: musica, podcast, radio. Queste frammentate suggestioni ritornano in modo velato all’interno delle opere, spesso nei titoli, evitando abilmente citazioni troppo riconoscibili. Nelle opere non c’è dunque un palese riferimento alla contemporaneità: si tratta di forme che non rimandano a nessun particolare periodo storico. Questa mancanza di appigli temporali e di aperture sull’esterno, si riflette anche nella difficoltà di decifrare l’orario della scena dipinta: siamo al mattino oppure in una calda serata estiva? L’ambiguità del reale è indagata tramite l’osservazione incessante da parte dell’artista. D’altronde, per Plazza, la pittura è una pratica che la costringe a star ferma sullo stesso soggetto per molto tempo, studiandolo in modo approfondito e quasi ossessivo, in antitesi all’ipervelocità del contemporaneo.

Nell’ultimo periodo l’artista sta portando avanti sperimentazioni sulla ceramica d’uso. Un’idea sicuramente in linea con la volontà di espansione della pittura nello spazio fisico e un ritorno della stessa al reale. Sta inoltre arricchendo le sue opere di nuovi elementi fortemente connotati, come i tappeti, utilizzati per mostrare gli oggetti rappresentati in precedenza nelle sue opere (Tapis, 2023), e gli scacchi. Questi ultimi potrebbero essere letti come metafora dell’importanza di calcolare fin dall’inizio le mosse importanti nel corso della vita, oppure potrebbero avere un rimando inconscio ancora più profondo e celato (Scacco matto, 2023).

Il piccolo formato risulta spesso più difficile da formalizzare vista la grande mole di oggetti che solitamente compongono i lavori dell’artista. Inoltre, la fatica che Plazza prova (e che lei stessa ci racconta) nell’approfondire nuovi aspetti del suo lavoro potrebbe essere un punto di debolezza su cui lavorare. Vi è infine la volontà dell’artista di affinare ulteriormente la tecnica, soprattutto nella resa delle trasparenze.

Gli elementi che frettolosamente potremmo definire come ‘decorativi’ sono invece ben compensati e risolti in maniera precisa. Essi sono bilanciati grazie all’ambiguità dello spazio vuoto, alla prospettiva volutamente distorta e anti-decorativa e al sapiente uso tecnico del colore, amplificando una sensazione straniante e trasognata. Tutti elementi che consolidano una ricerca ormai solida e coerente.

Foto Davide D’Ambra
Foto Davide D’Ambra