Mimmo Rubino

Potenza 1979
Vive e lavora a Roma e a Potenza
Studio visit di Marcello Francolini
24 novembre 2023

Chi nel 2017 si fosse trovato a passare nella stazione metropolitana di Cavour a Roma, si sarebbe imbattuto in alcuni cartelloni pubblicitari che non sembravano presentare alcun prodotto a parte i modelli immortalati. In realtà, a guardarli bene, gli scatti erano ambientati nella stessa metropolitana di Roma, tutti recavano la medesima titolazione sotto forma di hashtag #intemoodforloverome (2017) e mettevano in forma la nuova generazione di adolescenti che intraprendevano in solitaria il loro viaggio nella società. Qualcuno più scaltro a googlare avrebbe presto capito che si trattava di un’operazione artistica messa in atto da Mimmo Rubino, che seguiva all’installazione di un ambigrammanegli accessi ai binari con la scritta Wait, ti amo (2017). Un’opera da intendersi come un’azione relazionale, che vuole utilizzare l’occasione di operare nello spazio pubblico per costruire valori di legame, in cui il passante diviene spettatore attivo di nuove e inaspettate relazioni tra le cose e le persone.

Conosciuto come aka RubKandy, Rubino parte dai muri delle periferie di Potenza, risalendo le linee ferroviarie sino alla Capitale, armato di fat, skinny, booster, e varie Monatana o Belton o altre. L’esperienza dell’underground lucano lo costringe a confrontarsi con la progettazione, con le diverse superfici e materiali, permettendo di comprendere i vincoli, quelli che lui stesso definisce necessari per lo svolgersi della sua pratica artistica.

L’eterogeneo utilizzo di media, tecniche e temi, porta all’impossibilità di stabilire un codice interpretativo unitario, collocando l’artista nella piena ricerca postmoderna, dove è il processo mentale che si attua per la creazione delle opere a diventare quella che potrebbe essere definita ‘cifra stilistica’ dell’artista.

L’esperienza del graffitismo unita a quella da storico dell’arte lo porta a definirsi art designer, un neologismo che gli permette di parlare della sua pratica come crossover che mette insieme elementi di design, lavoro sui processi e costruzione delle opere che hanno i ragionamenti come punto di partenza. In Aliens Welcome, iniziato nel 2017 e tutt’oggi in corso, realizzato con Andrea Nolè, la parola viene usata come mezzo per riformulare lo spazio, diventa uno slogan, un monito, un modo per innescare una provocazione sociale ma soprattutto politica, riguardo la questione dell’immigrazione, verso l’accoglienza e contro l’avversione allo straniero. Invita alla lettura del contemporaneo, riflettendo sul fatto che un mondo trasformato non può continuare ad essere analizzato con vecchi parametri. Aliens Welcome viene realizzata quasi come un’insegna pubblicitaria sulla parte più alta della facciata di una stazione ferroviaria a pochi chilometri da Matera, in occasione di Matera Capitale della Cultura 2019. Il carattere utilizzato è Futura nella variante bold, font che solitamente viene usato nelle stazioni italiane, un aspetto formale che contiene chiari rimandi: il nome del carattere delinea già uno spostamento temporale verso l’ignoto e il suo essere ingombrante gli impedisce di passare inosservato. Aliens Welcome non è dichiaratamente un’opera d’arte, è uno slogan che in tutti i contesti di installazione diventa un accogliente benvenuto, come la scritta Welcome fuori dal portone di casa. L’invasione aliena della Basilicata viene celebrata in Aliens Welcome – Space to the Kids! (2020) un’operazione quasi definibile come progetto di design, che unisce progetto artistico all’usabilità, riguarda la restituzione al territorio di un campo da gioco polivalente gestito visivamente con l’iconografia aliena, originata dai film fantascientifici anni Ottanta come dell’immaginario di E.T. di Steven Spielberg. Ancorata all’oblio del presente è un’opera nata in occasione dell’esperienza poi deflagrata di Box Art a Cosenza, Kodokan (2017) dove per l’occasione Rubino decide di musealizzare l’insegna della prima palestra di Judo in Calabria aperta dal maestro Mario Mangiarano e di catalogare lo sviluppo del loro rapporto in una documentazione fotografica. Aspetta ancora, la grande insegna, di essere installata all’ingresso del parco d’arte, come a sottendere una palestra di addestramento per la mente.

Di certo non è semplice prestare il fianco a opere i cui soggetti siano fatti e relazioni, dove il rischio logico della consequenzialità delle azioni, sacrifica una ‘forma di presentazione’.

D’altro canto, anche le forme indistinte, astratte, possono per altri versi, dirci qualcosa sul mondo, com’è nel caso dell’infografica, capace di vestire la caotica massa di dati. Così l’arte relazionale mette sul piano della figura, le gesta, gli atti e le possibili connessioni tra persone che divengono materia su cui lasciar convergere le nostre riflessioni.