Milano 1988
Vive e lavora a Milano e a Chicago
Studio visit di Elisa Carollo
La pratica di Marina Viola Cavadini esplora una peculiare nozione di permeabilità delle immagini, della realtà e dei corpi, e i contrasti derivanti dall’odierna oggettificazione del non-umano. Muovendosi su una dimensione multidisciplinare molto fluida, l’artista realizza soprattutto video di una meticolosità scientifica e guidati da un preciso intento di stimolare determinate sensazioni e reazioni nell’osservatore. Non a caso, la ricerca di Cavadini interseca ambiti come la biomimicry/biomimesi, ovvero lo studio di fenomeni di ingegneria naturale, per applicarli poi alle innovazioni tecnologiche e, in particolare, a quelle tecnologie che dovrebbero ‘migliorare’ o comunque rendere più confortevole e al contempo sostenibile il rapporto fra l’individuo e l’ambiente esterno.
In questo senso, la pratica di Cavadini cerca di indagare sistemi complessi di interazioni, relazioni e interdipendenze che caratterizzano i corpi, influenzandoli, plasmandoli, cambiandoli. Questo da un’ottica primariamente psicofisica e percettiva, per quanto poi tali opere intersechino inevitabilmente anche tematiche ecologiche.
Davanti a molti dei suoi video viene da domandarsi se le zanzare d’acqua o altri microorganismi acquatici non siano altro che metafore della nostra dimensione esistenziale. Ed è appunto questa permeabilità a rendere interessanti tali immagini, che permettono all’osservatore di identificarsi nella dimensione quasi plastica e scultorea che assumono tramite dettagliati close up ad alta risoluzione. Molti dei suoi lavori sono caratterizzati inoltre da un dimensione gelatinosa, vischiosa che tende a gratificare l’osservatore, offrendogli una sensazione tattile e sensuale ma che rende quelle immagini e oggetti anche ‘mutanti’ e, quindi, fragili nella loro dimensione ontologica.
Al momento della nostra visita l’artista stava lavorando a delle frasi in materiale semitrasparente da applicare a vetri o pavimenti, che nella loro permeabilità estetica e percettiva mettono ancora una volta in crisi dialettica l’oggetto estetico e l’osservatore: cambiando superficie di esposizione, e lo status di questa, queste scritte mutano nel loro essere e quindi nella loro lettura.
Alla luce di queste riflessioni, appare del tutto coerente la frase che apre lo statement di Cavadini: «I want to lick you. I want to peel you»: una dichiarazione esplicita di come la sua arte sia mossa da una precisa volontà di esplorare varie modalità con cui l’esperienza sensibile può essere stimolata, influenzata e compromessa.
Anche nella sua dimensione più performativa, l’opera d Cavadini fa spesso uso di prop , estensioni del corpo che il più delle volte sono fantasy accessories che accentuano l’attenzione sulle giustapposizioni ma anche sulle relazioni possibili tra interno ed esterno, fra ciò che è visibile e ciò che non lo è, ma è comunque ‘sensibile’. In alcune delle sue performance l’artista ha, per esempio, installato palline di zucchero argentate dietro le orecchie e sotto le ascelle delle performer, o ha realizzato video in cui mani guantate di lattice accarezzano sensualmente il retro delle foglie: il corpo e la relazione con l’esterno viene messa alla prova, stimolando nell’osservazione anche tutta una serie di reazioni nei confronti di sensazioni corporee per lo più subconscie e psicologiche, le cosiddette “autonomous sensory meridian responses” (ASMR) (risposte sensoriali apicali autonome).
Muovendosi in una dimensione transmediale, Cavadini attiva una tattilità esperienziale in bilico fra desiderio, repulsione e tentazione, realizzando esperienze visive di impatto che gratificano e, al contempo, sottopongono l’osservatore a una condizione perturbante che, forse, solo l’estetica surrealista aveva esplorato.
Tale ambigua permeabilità plurisensoriale e sinestetica delle immagini di Cavadini è sicuramente uno dei principali punti di forza della sua pratica, insieme alla capacità di isolare momenti e movimenti microscopici naturali, messi così in relazione con altri fenomeni macroscopici. Al contempo, l’enigmaticità di certe opere può tradursi anche in cripticità, rendendole forse poco accessibili a un pubblico ampio, soprattutto Italiano, meno educato ai protocolli di un’arte contemporanea dal respiro più internazionale.