Catania 1967
Vive e lavora a Milano
27 gennaio 2024
Studio visit di Francesca Guerisoli

Durante il lockdown del 2020 avevo scelto di accostare l’immagine di una Esplosione di Loredana Longo a un articolo per «Il Sole 24 Ore» (Explosion#15 Wedding Feast, 2007, Drodesera Fies, Trento). Tra le sue opere, precedentemente, era stata V for Victory (2018) a colpirmi. L’installazione, composta da centinaia di pezzi di vetro di bottiglia che riproducono il titolo a caratteri cubitali, si caratterizza per la sua minacciosa vitalità. La scelta di occuparmi del lavoro dell’artista viene dalla curiosità di riflettere ulteriormente sulla sua pratica, ben descritta da Lorenzo Madaro nel corso del primo studio visit.

Nell’arte di Loredana Longo leggo diversi echi internazionali e richiami a pratiche in uso a partire dalla fine degli anni Sessanta. Per prima cosa, è intrisa di forme ed estetiche femministe che attraversano i decenni. Riscontro attitudini tipiche di artiste dell’America Latina, come ad esempio Regina José Galindo, ma anche pratiche accostabili ad artiste quali Gina Pane, Marina Abramovic a Yoko Ono. Come diverse artiste femministe, mette a nudo il proprio corpo, che agisce direttamente la performance come atto di emancipazione. Un corpo che compie azioni in diversi casi auto-offensive. La serie dei Carpets evoca, invece, i lavori di Barbara Kruger nell’atto affermativo e iconico delle frasi utilizzate, immagini nette, che si fanno manifesto. Le Explosions richiamano Roman Signer, il cui pensiero coincide con quello di Longo, sebbene non vi sia ironia nelle sue opere: «esplosione non significa distruzione, ma trasformazione».

Come performer, negli anni ha portato avanti un metodo che contraddistingue le sue azioni. Alla base di ogni performance sta la costruzione di un ambiente, una scenografia sulla quale interviene e tramuta in installazione (sbatte contro una parete di pelle lesionandola, si getta ripetutamente su un guardrail modificandolo con il proprio corpo; fa esplodere oggetti). A queste azioni segue sempre la ricostruzione delle opere e, infine, il video che le documenta. Non si lascia condizionare da facili pregiudizi e accetta di buon grado le collaborazioni con il design e la moda. Fresca la sua collaborazione con Seletti – il marchio italiano che collabora con «Toilet Paper» e Codalunga –, che sta producendo tappeti di dimensioni 120×80 cm. I Carpets commercializzati dalla sua storica galleria, Francesco Pantaleone, sono invece realizzati a mano dall’artista, che si serve di mascherine di metallo con cui crea la sagoma di ogni singola lettera che si forma dalla carbonizzazione del tessile.

Artista poliedrica nell’utilizzo dei materiali, che approccia con modalità artigianali collaudate e sperimentali, nella sua casa-studio attualmente sta lavorando a diverse opere, che sono capitoli nuovi di filoni che percorre da tempo. Sta sperimentando la resistenza all’ossidazione della colatura di cemento e vernice sulle sue classiche tele intagliate. Su uno dei banconi è posta una piastrella di cemento che si innalza su un fusto di calice di vetro, evidenziando il fragile equilibrio nell’accostamento dei due materiali. Questo oggetto è pensato come un elemento tra tanti che, accostati, costituiranno un pavimento precario sul quale l’artista immagina di compiere una camminata, consapevole che l’azione porterà alla rottura di un cospicuo numero di elementi. Infine, mi mostra il domino che sta realizzando con sue lunghe ciocche di capelli che raccoglie da ventidue anni e che, quando terminato, indosserà facendone l’elemento cardine di una performance.

Una critica che è stata mossa all’artista è il deterioramento a cui alcune sue serie di opere – in particolare i Carpets – sono soggette. Per Loredana Longo, si tratta di opere da utilizzare: non arazzi da appendere alle pareti, ma tappeti veri e propri. I tappeti, ma anche le sottilissime ceramiche ricomposte dopo un’esplosione, sono dunque destinati a rovinarsi nel tempo. L’opera non è stabile, ma questo è un elemento costitutivo della sua poetica. Perciò, se si intende vivere l’opera così come pensata dall’artista, ne va accettata la sua modificazione nel tempo.

Questo elemento è, a mio avviso, un punto di forza del suo lavoro. La dimensione concettuale di Loredana Longo si esprime anche dopo la cessione dell’opera. L’oggetto è dunque esso stesso performativo: esiste nel qui e ora e i performer sono i suoi stessi utilizzatori. In un mercato che domanda cose eterne, questa dimensione denota una certa dose di audacia nel creare oggetti e installazioni che vanno dispersi.