Liliana Moro

Milano 1961
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Marco Scotti
18 ottobre 2023

«Sto preparando lavori…». Così ci accoglie Liliana Moro nel suo studio milanese, affacciato su una corte nel quartiere di Precotto. Sono spazi in cui l’artista si muove dal 1997, ci sono libri, opere pronte a partire per nuove mostre, scaffali pieni di giocattoli e piccoli oggetti di ogni tipo. Appaiono tra i tavoli diversi modelli, strumento fondamentale che l’artista ha sempre usato per leggere lo spazio, e che sono diventati loro stessi un’opera in occasione della partecipazione di Moro al Padiglione Italia della Biennale veneziana, sovrapposti e impilati a creare un monumento impossibile.

Fuori c’è Milano, la città dove è cresciuta, all’Accademia di Brera – anche grazie agli insegnamenti di Luciano Fabro – e dove sul finire degli anni Ottanta è animatrice, tra gli altri, del seminale spazio di via Lazzaro Palazzi. Uno spazio gestito da artisti e agli artisti dedicato, poetico e libero, oggi finalmente storicizzato e riattivato dopo la ricostruzione e la donazione del suo archivio al Museo del Novecento di Milano, con il lavoro di ricerca di Iolanda Ratti e Cristina Baldacci. Sullo spazio digitale del suo account Instagram è saltata subito agli occhi tra le novità un suo lavoro esposto ad Art Basel, nello stand della galleria Rodeo, e per la stessa galleria sta preparando una doppia personale a gennaio, tra il Pireo e Londra, dopo i recenti progetti con la storica galleria de’ Foscherari di Bologna. Leggerezza e precarietà, rapporti inaspettati e improvvisi tra spazi, oggetti e persone, suggestioni e rimandi costruiti su iconografie e suoni essenziali: il lavoro di Liliana Moro vive di libertà e rigore, metodo e sperimentazione.

Aspettando una mostra in uno spazio della sua città, questo autunno sarà il Kunstmuseum di Vaduz a dedicarle una mostra personale, a cura di Letizia Ragaglia. Andante con moto è una retrospettiva, con alcuni lavori nuovi realizzati appositamente per l’occasione. Una vetrina internazionale nel cuore dell’Europa: «Il filo conduttore sarà il suono», per osservare oggi una pratica che negli anni ha sempre affrontato in maniera diretta lo spettatore, portandolo dentro al lavoro partendo dal quotidiano, lavorando su forme di coinvolgimento e azioni. La condivisione di spazi ed esperienze con i visitatori è un elemento centrale nel lavoro di Moro: con Sundown ora l’artista sta realizzando un’opera pubblica a Milano, nel parco di CityLife, all’interno del progetto ArtLine curato da Roberto Pinto. Trenta sedie in bronzo, una tenda gialla e un diffusore acustico che trasmetterà in tempo reale programmi radio, interrotti solo al tramonto. D’altra parte, nello spazio pubblico era iniziato il percorso dell’artista, con la mostra Politica del per o riguardante il cittadino (1988), esperienza autogestita a Novi Ligure insieme a compagni di viaggio tra cui Mario Airò, Stefano Dugnani, Luca Quartana e Bernhard Rüdiger; ventisette artisti che usciti dall’accademia andranno a costruire una nuova scena collettiva.

Il lavoro in corso nello studio di Liliana Moro si intravede soltanto: «non amo molto far vedere quello a cui sto lavorando, se non a pochissime persone». L’importanza di questo spazio però è evidente. «Lo studio è un luogo diverso. Da quando ne ho uno mi è cambiata la vita: un po’ perché stavo in una casa molto piccola, ma soprattutto perché lavorare in studio è una cosa completamente diversa. Per me il distacco è fondamentale: il fatto di uscire, camminare a piedi… lo studio è il luogo dove penso, anche se poi non lo abbandoni mai fino in fondo il pensiero». Il suo percorso ha affrontato linguaggi e contesti differenti, ha guardato alla messa in scena di accostamenti e possibilità, ragionando sull’effimero e sulle tensioni: già nel 1992, invitata da Jan Hoet alla nona edizione di documenta a Kassel, Liliana Moro elabora un progetto – rimasto non realizzato – per raggiungere la città tedesca con la sua automobile, una FIAT 126 rossa, e ancorarla alla parete di fondo della Neue Galerie: Il cavo dʼacciaio avrebbe attraversato lʼintero spazio espositivo, disorientando e spiazzando il visitatore, creando una nuova consapevolezza del luogo partendo da un oggetto quotidiano defunzionalizzato. «Sono felice quando parlano di una coerenza nel mio lavoro». Una coerenza che emerge come tratto fondante di una ricerca sempre in equilibrio e sempre tesa per affrontare tempi e spazi, fisici e personali, spostando lo sguardo fino ai margini.