James Hillman

Londra 1992
Vive e lavora a Isola del Liri
Studio visit di Marco Bassan
29 dicembre 2023

Dopo l’esperienza in diverse fonderie artistiche, tra cui Pangolin Editions nel Gloucestershire, Bronze Age e Arch Bronze a Londra, James Hillman ha realizzato accanto al suo studio un laboratorio scultoreo e una fonderia. Il lavoro di Hillman parte spesso dalla progettazione di uno strumento o di un macchinario che possa essere usato per la realizzazione di un’opera. Nella sua ricerca pittorica attuale, per esempio, trasferisce l’autorialità nella fase di progettazione di questi strumenti che, automaticamente, stendono il colore sui supporti di legno da lui sagomati. Attraverso la costruzione di questi macchinari la pratica di Hillman si configura come una costante ricerca di mezzi per inibire il pensiero e per permettere all’immaginario intimo di fluire e scorrere attraverso le opere. Hillman distrae la propria mente e lascia che sia l’automatismo progettato a produrre l’opera, non mancando di intervenire manualmente nelle varie fasi del processo per riattivare il caos dominato dalla progettazione.

Le opere di Hillman sono sculture che raccontano paesaggi di un grand tour personale, che da Londra si sposta nelle campagne inglesi per poi approdare al paesaggio laziale e alle cascate di Isola del Liri. Questi paesaggi non hanno un interesse in sé ma sono simboli, punti di partenza e di arrivo di una ricerca che intreccia forme plastiche e bidimensionalità. La sua ricerca è un costante alternarsi tra la pittura e la scultura. Si definisce uno scultore che dipinge: interessato alle superfici e ai supporti della pittura, non rappresenta la realtà ma parte dai paesaggi per costruire sculture che oltre alle tre dimensioni dello spazio, grazie alla pittura, aprono squarci in una quarta dimensione metafisica. «È impossibile fare un dipinto senza essere coinvolti con il materiale di supporto, bisogna accettare che si dipinge sempre su qualcosa» ci racconta l’artista, e se artisti come Robert Irwin e Lawrence Weschler pensavano di accentuare la tensione tra l’oggetto e il contesto che permette ad esso di esistere nel mondo, isolandolo, Hillman esalta il rapporto tra supporto e gesto pittorico costruendo oggetti che, come portali, si elevano dalla bidimensionalitá per poi rientrarci.

Un continuo tentativo di bilanciamento in cui la scultura prima è superfice e supporto del dipinto e poi il dipinto, come in Andrea Pozzo, si trasforma in una dimensione illusoria della realtà che lo ospita. La pittura permette all’artista di costruire inganni per la mente e la scultura che lo supporta ci riporta costantemente alla realtà tenendo in equilibrio lo spettatore.

Oltre alle sculture HIllman lavora anche con installazioni site specific in cui non interviene con il medium pittorico ma crea relazioni tra l’oggetto e lo spazio che lo circonda. Immersi in luoghi difficili, sporchi e denaturalizzati, i suoi interventi sprigionano nel visitatore un senso di stupore e allo stesso tempo di pace, per la capacità che hanno di appropriarsi di un luogo restituendo ad esso un nuovo significato.

Se i suoi riferimenti possono essere rintracciati nella dinamicità di Robert Mangold o nel mistero dei lavori di Robert Irwin, il suo immaginario richiama alla memoria immagini che parlano di paesaggi eterei sfocati dalla memoria, cercati ripetutamente nella intensa produzione semi-industriale del suo studio.

L’artista ha da poco inaugurato la mostra Chute d’eau Waterfalls Cascate curata da Mirta d’Argenzio nello spazio di Campo Santo Stefano di Elizabeth Royer e, per l’occasione, ha lavorato a una serie di tredici nuove opere sulle cascate. Invitato a esporre nella sezione Genius Loci della Biennale di Gubbio ha lavorato insieme all’Università dei Fabbri con cui ha realizzato un’opera site specific frutto di questa ricerca in corso.

La possibilità di fabbricare macchinari dà all’artista una spiccata capacità produttiva ma, allo stesso tempo, lo pone a rischio di innamorarsi del proprio virtuosismo tecnico e di dimenticarsi di aprire squarci che prevedano l’imprevedibilità e il libero fluire del suo immaginario sull’opera.

Tuttavia Hillman riesce a muoversi in maniera invisibile sul confine tra pittura e scultura, producendo opere che si presentano come pittoriche ma che hanno la tridimensionalità e la progettualità tipica della scultura. Un lavoro meticolosamente progettato per essere il più efficace possibile nei primi istanti di incontro con il visitatore. In quei pochi secondi si gioca tutta la partita e se il lavoro riesce ad arrestare il turbinio di pensieri del visitatore è per Hillman un lavoro ben riuscito.