Ivana Spinelli

Ascoli Piceno 1972
Vive e lavora tra Bologna e Berlino
Studio visit di Elena Forin
26 giugno 2024

Ivana Spinelli si è formata all’Accademia di Macerata, e oggi è docente all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dove tiene il corso di Scultura, un insegnamento che concepisce come uno specchio cruciale per la sua pratica artistica. Più che in un luogo o in un momento preciso, si sente collocata dentro un tempo espanso che abbraccia il passato e il presente, e le molteplici inclinazioni dei suoi interessi la portano a pensarsi come collettivo, l’Atelier Spinelli VVVirgulti.

In ogni suo progetto, Spinelli inquadra una prospettiva di ricerca ampia, che approfondisce attraverso lunghe fasi di indagine con l’obiettivo di mettere in crisi contenuti e definizioni condivise in maniera diffusa, attraverso traiettorie spesso ritenute marginali. In questa dimensione progettuale, il concetto di traduzione assume un ruolo fondante e viene declinato sul piano concettuale, linguistico e visivo. In questo approccio anche lo strumento del disegno è importante, perché la conduce verso una necessaria essenzializzazione: si articola infatti in segni arcaici, il cui accostamento e la cui composizione per gruppi e andamenti ritmici compone messaggi di una lingua sconosciuta, ma in parte familiare – e per questo mai completamente indecifrabile (Zigo Zago Stickes). La parola e il linguaggio sono quindi universi molto importanti per Spinelli, che spesso parte proprio da qui per toccare la dimensione sociale e politica delle relazioni (Minimum L.O.L.). La sua analisi si concretizza però anche attraverso opere, installazioni e oggetti nei quali i concetti sembrano sciogliersi, normalizzarsi, diventare gioiosi e a tratti giocosi, e consentendo al pubblico, attraverso questa forma visiva di leggerezza, di entrare (anche letteralmente) nelle sue opere per compiere azioni di protesta e resistenza.

Anche se molti dei temi che tocca (dal femminile alle politiche del lavoro, dalla maschera alle forme comunicative dei brand, dal salario minimo al cyborg fino alle società matriarcali) sono propri di molta indagine contemporanea, le modalità con cui l’artista li traduce in opera è unico. Una componente cruciale della sua pratica deriva dalla connessione con una manualità che ha assimilato in famiglia e che corrisponde a una mentalità del ‘saper fare con poco’, replicando le idee in manufatti funzionali e dall’estetica volutamente spoglia, ancorata nella storia dei materiali comuni, della più spontanea genialità dell’artigianato domestico, oltre che di una certa produzione punk.

Spinelli mi ha mostrato Beauty Routine, una serie di maschere da indossare per uscire dalla dimensione del sé e coltivare forme di bellezza diverse da quelle appartenenti alla propria convenzionalità. Le forme sono stilizzate e le fattezze replicano lineamenti schematici: a essere importante è il senso della decorazione che si esprime attraverso dettagli minimi ma preziosi, con orpelli che enfatizzano lo sguardo (un ricamo evoca un occhio nero), la parola (con una sorta di polsino per la lingua, fatto all’uncinetto e decorato con perline), o il pensiero (lo ‘zig’ sulla fronte), e che attraverso le tinte accendono quegli aspetti punk nascosti in ogni individuo. Buco (prodotta in Austria nello spazio di Roter Keil), invece, è un’installazione abitabile, una scultura in cui calarsi e nella quale trovare un proprio spazio, per fare qualcosa o per non fare niente, per scrivere o disegnare sulle pareti. È un luogo che suggerisce un atto vandalico, un modo per rivendicare uno spazio: dall’esterno è una struttura in compensato, con sette gradini in salita per poi calarsi nel contenitore vuoto, una caverna con pareti di lavagna su cui lasciare una propria traccia. Allo stesso modo che nelle opere esposte nel 2020 per “Contropelo” alla Gallleriapiù di Bologna, anche Buco materializza lo zig-zag (presente ad esempio nell’andamento dei gradini), si può vivere e partecipare, è uno spazio da indossare, un ambiente da connotare.

Di questo ampio nucleo di opere in particolare si può criticare una certa ingenuità nell’estetica e nelle modalità di attivazione del pubblico.

Questa critica perde però la propria ragion d’essere quando torniamo a quella forma di costruire di cui si è detto, che richiama volutamente un atto di creazione semplice e immediato, pensato per rispondere d’urgenza a un’impellenza, che per Spinelli è proprio quella del gioco, dell’espressione fuori sincrono con la realtà.  La scultura, e l’arte in generale, per l’artista servono e sono proprio questo: il luogo, il tempo, lo spazio, ma anche la prospettiva, per accedere a una dimensione che si tende a cancellare, e che invece è necessaria per ritrovare e ritrovarsi nelle sfide del presente.

 

Foto di Salvatore Santoro