Giuseppe De Mattia

Bari 1980
Vive e lavora a Bologna e a Noha
Studio visit di Lorenzo Madaro
17 settembre 2023

Giuseppe De Mattia ha studiato al Dams di Bologna. Dopo aver lavorato, giovanissimo, in una casa di produzione di cinema in Portogallo, intorno al 2006 ha avviato un lavoro negli archivi fotografici, soprattutto in quelli di famiglia. Negli anni della formazione, al Politecnico di Milano ha modo di interfacciarsi con i corsi di Francesco Jodice, dove comprende che la fotografia può essere uno strumento per indagare altri territori. È un’intuizione giovanile che lo spinge ad avviare riflessioni sull’antropologia, geografie e periferie. Tra le mostre personali più recenti, Produzione propria, con testi di Gabriele Tosi e Orsola Vannocci Bonsi, presso le OPR Gallery di Milano nel 2022, mentre tra le collettive, A Deeper Splash, a cura di Vasco Forconi da Port Tonic Art Center a Saint-Tropez e Un secolo di disegno in Italia, a cura di Maura Pozzati e Claudio Mussa, Fondazione del Monte a Bologna. È tra i fondatori di Casa a mare, insieme a Luca Coclite e Claudio Musso, dove – attraverso installazioni e progetti espositivi ed editoriali – si investiga l’immaginario neo vernacolare dell’edilizia vacanziera italiana degli ultimi decenni.

Utilizzando differenti linguaggi ─ video, fotografia, collage, disegno, installazione ─ ma anche attitudini, e operando in contesti anche molto diversi tra loro (da quelli istituzionali a realtà più indipendenti, che frequenta con impegno) riflette attorno alle connessioni che sussistono tra archivio, memoria privata e collettiva. Al centro di tutto c’è un filo di ironia sottile, sempre pregnante e intelligente, che l’artista declina relazionandosi spesso con comunità.

Cosa c’è di rimosso, oggi, nella memoria collettiva? Con scanzonato sarcasmo, De Mattia ci porta in un grande archivio da esplorare, che per lui è la rappresentazione del mondo, concepito attraverso ciò che è stato rimosso, da anonime persone che hanno costellato le comunità con cui l’artista in questi anni si è interfacciato. Pensiamo a Oggetti poveri, del 2016, un progetto in cui l’artista ha individuato oggetti, mobili, in vecchie foto recuperate nei mercatini vintage, per poi riprodurli con il cartone, piccoli e grandi oggetti finti, giocattoli quasi, un po’ pascaliani, un po’ memori di un tracciato sommerso. Riprodurre in tridimensione quanto rappresentato dalle immagini, per De Mattia significa intessere un dialogo intimo con queste reliquie di un territorio misconosciuto, storie anonime che mai si conosceranno realmente, ma che in molti possono riconoscere. Senza deflagrare nel contesto stitico dell’archivio inteso come elencazione, il lavoro di De Mattia ha un valore proprio per la possibilità di interpretazione e messa in discussione dei suoi stessi perimetri. Facendo uscire un’immagine, una singola traccia, dal contesto ristretto di un determinato archivio, De Mattia allarga il nostro orizzonte e ci consente di riattivare anche la nostra memoria senza cadere nel faticoso gioco della nostalgia.

Sono tanti i progetti su cui attualmente è concentrato De Mattia, in cui la fotografia e l’archivio sono sempre i punti cardinali di partenza per differenti approfondimenti. Pensiamo a Cavalli di battaglia, un lavoro performativo concepito proprio in Salento, a Castrignano dei Greci. In quella occasione, lo scorso anno, ha realizzato un boccascena concepito su misura con canne palustri intrecciate, da cui ha intonato alcuni ‘fatterelli’, microstorie intrise di dicerie, superstizioni popolari, immaginari imperscrutabili poi tracciati su singoli supporti con tecniche miste e collage. Al centro di questo intervento – ma è una costante nel lavoro di De Mattia – c’è il desiderio di immagazzinare una memoria possibile, di captare la tradizione orale e farla transitare così nel contesto aperto del linguaggio dell’arte ma anche di un supporto di trasmissione differente. Lo stesso accade sulle tele della più recente produzione, sentenze caustiche, espressioni di folclore, che l’artista evidenzia, talvolta restituendole allo sguardo di chi transita nello spazio, come di recente in un quartiere a ridosso del centro di Lecce su progetto di Studio Concreto. Le mostre personali di De Mattia – pensiamo a quella di Toast Project Space a Firenze nel 2021 – sono spesso installazioni in cui convivono disegni, immagini, sculture, oggetti, in cui c’è anche la possibilità di un’interazione attiva con il pubblico.

C’è poi l’aspetto editoriale, che lo coinvolge con sofisticato impegno: perciò in occasione dei suoi progetti spesso realizza multipli, libri d’artista, oppure una fanzine che completa la mostra e ne ribadisce il senso.

Apparentemente frammentato, il lavoro di De Mattia è un’ampia narrazione che in fondo è legata primariamente a un tema: il processo di democratizzazione della società, da declinarsi attraverso differenti processi e livelli di formalizzazione. Sarebbe stimolante vederlo alla prova con opere di grande formato, in ambienti più ampi, per mettersi alla prova ulteriormente, senza scivolare in afflati muscolari.

Giocare sugli stereotipi, abbattere steccati, pensare alla scultura come a un mezzo plurale – pensiamo al Rolex falso, una scultura da polso della sua produzione più recente – con cui investigare i confini stessi tra realtà e finzione, tra memoria e pregiudizio, rappresenta, per De Mattia, una libera ossessione che attraverso un percorso autonomo e anche per certi versi autarchico sta praticando con assiduo e brillante impegno.