Gaia Fugazza

Milano 1985
Vive e lavora a Londra
Studio visit di Alessandra Troncone
25 giugno 2024

Formatasi tra Milano e l’estero, Gaia Fugazza persegue da sempre nel suo lavoro un approccio prettamente pratico, che l’ha portata negli anni a sperimentare materiali diversi. Agli studi presso l’Accademia di Brera nella classe di Alberto Garutti sono seguite esperienze di soggiorni e residenze a Parigi (dove tra il 2006 e il 2009 ha collaborato con il collettivo di artisti La Generale), a Los Angeles (dove nel 2008 ha frequentato The Mountain School of Art) e a Londra, dove si è trasferita nel 2012 e dove tutt’oggi vive. Tra le mostre più recenti si segnalano la partecipazione al Lofoten International Art Festival nel 2022 e le collettive del 2023 alla Roman Road Gallery a Londra e alla galleria Richard Saltoun a Roma.

La sua pratica si muove tra pittura, scultura e performance, alle quali subentra in alcuni casi il dialogo tra linguaggi e media diversi. Tema ricorrente è la precarietà e fragilità del corpo umano – in particolare quello femminile – evidenziato quale unione inscindibile di materia, pensiero e componente emotiva. A partire dal corpo, che nelle sue opere ha sempre una centralità, il discorso si estende ad includere l’ambiente naturale quale luogo nel quale ritrovare tale unità. Nelle sue pitture e bassorilievi prendono vita rappresentazioni dal sapore arcaico, che mettono in discussione l’idea di progresso nella sua concezione di sviluppo lineare, favorendo al contrario la visione di una circolarità temporale. A tale scopo, l’artista sceglie spesso tecniche e supporti che rimandano a pratiche antiche, incentrate sulla conoscenza dei materiali. Ne sono esempio opere come Ambush (2022), Mute Frogs (2023) o Patelle (2023), che propongono l’accostamento di ceramica, cera e vetro. Parallelamente, Fugazza lavora con la performance, creando situazioni inaspettate che portano il pubblico a reagire da un punto di vista fisico ed emotivo. Si tratta di azioni “non annunciate”, come le definisce l’artista, che ambiscono ad attivare una responsabilizzazione dei partecipanti, invitandoli a interrogarsi sul proprio comportamento, ma anche a sentire il proprio corpo in modo diverso. In Other Ways ad esempio, il pubblico è invitato a tenere in bocca un piccolo oggetto scultoreo cercando di decifrarne la forma solo attraverso la sensibilità della lingua e del palato, mentre in I Care You Dance (2023) l’artista cerca di spogliare e rivestire una performer mentre balla in una discoteca, ingaggiando una lotta tra il suo corpo e quello della danzatrice, che non le permette di assoggettarla al cospetto del pubblico, ignaro di ciò che sta avvenendo.

Nella varietà dei media utilizzati, l’interesse di Fugazza è orientato alla costruzione di un immaginario che rinnega l’antropocentrismo per promuovere una sintesi tra esseri umani, animali, piante e minerali. La sua produzione pittorico-scultorea intercetta dunque alcuni grandi temi del dibattito attuale, pur privilegiando un approccio che parte sempre dalla conoscenza diretta, per rintracciare nell’esperienza individuale archetipi in grado di funzionare in maniera simbolica.

Al momento di questo incontro, Gaia Fugazza sta realizzando dei nuovi lavori a Napoli, con la collaborazione delle maestranze dell’Istituto Caselli. Il risultato è una serie di bassorilievi in porcellana, tracciati da solchi che generano figure sulle quali sono innestati ossi di calamaro, inserti che richiamano come un piumaggio, la cui leggerezza si scontra con la durezza del materiale ceramico, dando origine a un’interessante tensione tra i due elementi. Tema portante è quello della trasformazione, che ritorna anche nelle porcellane colorate, nelle quali prende vita una lotta tra acqua e figure femminili. È in programma inoltre una performance che sarà presentata a Forof a Roma, dal titolo Farewell to Known Skies, un lavoro nel quale convergono memorie di luoghi affettivi miste alla testimonianza degli effetti del cambiamento climatico.

Le figure e i segni astratti che compaiono nella ricca produzione di tavolette e ceramiche danno vita a un immaginario che spesso rimane sfuggente, nel quale la dimensione narrativa lascia il posto a un’attitudine più decorativa, mentre gli aspetti materici dell’opera prevalgono sul suo contenuto.

Nella ricercata arcaicità di alcune soluzioni tecniche e formali emerge d’altra parte una riflessione sul tempo che torna nella pratica performativa, dove l’azione è intesa anche come “interruzione” del flusso ordinario degli eventi, riportando a un’altra forma di narrazione, attraversata dalla stessa spinta ritualistica.