Francesco Scialò

Reggio Calabria 1963
Vive e lavora a Reggio Calabria
Studio visit di Marcello Francolini
28 febbraio 2024

Entrando a Reggio Calabria, si è sul 38° parallelo e, percorrendo la via marina, si può in qualche modo credere di star sulla perpendicolare più estrema d’Italia, dopodiché i confini fluiscono nel Mediterraneo. Le idee sulle forme, qui, come altrove al Sud, sono chiamate sempre a germinare come elefanti in una radura di cristallo, tra i sedimenti ricolmi di classicità e mitologia. Qui, la creazione del ‘nuovo’, non può mai considerarsi ad fundamentum, così come è evidente dalle opere dell’artista reggino Francesco Scialò, che sembra aver firmato un armistizio con il reale, per concentrare la sua attenzione sulle forme simboliche.

Le sue figure paiono “trasalire” da diverse epoche e, per lasciarsi abitare tra esse, l’artista si è costruito un palazzo-mondo (2018-2023). È tirato a secco, la malta esterna sembra coprirlo come la pelle di un corpo. All’interno, gli ambienti sono solo suggeriti dai profilati in ferro, eppure queste strutture sottostanti, le ipotetiche forme delle stanze, si traducono in qualità emotive, facendo di un non-spazio un luogo mentale. È così che potremmo per analogia parlare di ‘arte-del-rammendo’, per la ricerca di Scialò. Il processo di creazione dell’opera è opposto al consueto produrre: invece che costruire, Scialò scompone le opere come dei ‘kit da montaggio’, in una ricostruzione puramente mentale che rende l’opera aperta, continuamente rimodulabile nella mente dell’osservatore che diventa fabbro, artigiano e chirurgo. Così è se si fa attenzione a una serie di opere le cui costanti sono rappresentate da bulloni, punti di sutura, innesti.

L’artista rende visibile il connaturato, ospita e ingloba contesti, intenzioni, arredi urbani, completamente diversi che coesistono: dà vita a cortocircuiti materici che originano paradossi visivi, come si evince da opere recenti della serie figura 02 e figura 03 (2020-2022). Bulloni a testa esagonale diventano i nodi di unione di perimetri materici, nell’opera (figura 03) la materia viene spezzata e diventa schematizzazione di strutture primarie, gli enti geometrici fondamentali: punto, retta e piano che diventano le linee di costruzione di griglie, su cui la mente proietta immagini. Solo nell’unione mentale di diversi piani è possibile scorgere la forma di un cavallo, è un’idea primaria di cavallo, l’opera perciò è estremamente interessante per via della possibilità di scomposizione: smontando i bulloni si arriva a perdere il cavallo-figura, guadagnando delle semplici strutture geometriche imbullonate, più o meno regolari. Nell’operare di Scialò, l’Ente plotiniano viene messo in crisi, costantemente frantumato in parti minime, idee piccole e ancor più scomponibili, quasi come atomi materici sospesi in un’atmosfera rarefatta che è quella in cui il fruitore stesso vive.

L’unione di tutte le pregresse considerazioni si può concretizzare in Trionfo, opera site-specific esposta presso il Castello Aragonese di Reggio Calabria all’interno della mostra Millenovecentootto. L’artista definisce l’opera come: «specificamente pensata per costruire un territorio onirico entro cui il fruitore

può muoversi tra diverse prospettive: ottica, percettiva, storica, immaginativa, intuitiva e via dicendo». Cinque non-umani ri-nascono dalle macerie del terremoto del 1908, reggendo teche dalla forma piramidale contenenti gioielli, i piani di fruizione si sommano, si confondono e si concreano al muoversi dello spettatore nello spazio, inglobato in una pioggia metafisica di frammenti bianchi di argilla creati uno a uno dallo stesso Scialò, non attraverso uno stampo ma ciascuno con una propria forma. Ancora una volta tutto ciò diventa scenario di una ricostruzione psico-materica.

Punti deboli potrebbero essere rappresentati dall’impermanenza di alcuni lavori, come quelli organici con fiori e tessuti o come alcune sculture site-specific che nascono e continuano tutt’ora a svilupparsi nel Palazzo-Mondo, questione per cui si dovrebbe/potrebbe ampliare l’apparato documentativo dell’opera. Ma la forza del metodo costruttivo della forma di Scialò è trasversale alle materie impiegate proprio perché è essenzialmente un’attitudine concettuale. Perciò a mio avviso, opere come Trionfo, rappresentano una linea di ricerca in cui l’artista rende più solida la sua struttura simbolica facendosi al tempo stesso (per via evidente) ambiente.