Federica Di Pietrantonio

Roma 1996
Vive a lavora a Roma
Studio visit di Marco Bassan
7 ottobre 2023

La fascinazione per le innovazioni tecnologiche sembra scalfire solamente in parte il lavoro di Federica che come già individuato nel primo sopralluogo si approccia al digitale «senza nessuna ingenua euforia». Cogliere l’evoluzione nel tempo e scendere in profondità nelle ragioni che spingono l’artista ad affrontare questa ricerca al di là del medium utilizzato rappresenta il motivo principale per questo secondo studio visit.

Il suo lavoro è fortemente influenzato da quello di artisti con cui condivide un certo tipo di immaginario e che si muovono nell’ambito della contemporaneità virtuale: Cecile B. Evans, Evan Roth, Theo Triantafyllidis, Jon Rafman, Oliver Laric, Eva e Franco Mattes; altre ispirazioni indirette da cui prende spunto sono i dipinti di Segantini, la finzionalità di Sophie Calle, la trasversalità di Pierre Huyghe, la follia e il rigore di Matthew Barney e la resistenza di Tracey Emin. La forza del suo lavoro sta nell’aver affinato un processo che le permette di realizzare opere pittoriche che, a livello visivo, possono essere completamente svincolate dalla ricerca sottostante e quindi in grado di acquisire una forza simbolica autonoma. Allo stesso tempo, è altrettanto interessante la modalità con cui queste opere vengono realizzate: infatti, Di Pietrantonio realizza le immagini a partire da manipolazioni operate sui videogiochi e sui software, usati come matrice di ispirazioni. In questo processo l’atto pittorico diventa un gesto quasi meccanico di riproduzione fedele dell’immagine sorgente e l’intervento creativo si concentra in fase di progettazione e di modifica del codice originario, una sorta di hackeraggio del software che genererà l’immagine poi dipinta.

Modificare il videogioco ricalca quella tensione umana che ci spinge a voler trasformare la natura che ci circonda. Quello stesso atto che nel mondo reale richiede un’immensa dose di sforzo e di manutenzione, nel mondo virtuale si realizza magicamente senza resistenza. Federica riesce a dominare il mondo virtuale ricreando un immaginario fatto a sua immagine e somiglianza, mettendo in risalto l’enorme difficoltà che la sua generazione ha nel trasformare la realtà “naturale”. Il rifugiarsi nel mondo virtuale e l’estrema personalizzazione di questo è la massima espressione di una generazione sempre meno interessata al mondo e che dedica il proprio tempo ad esercitare il dominio su un campo virtuale di cui è totalmente padrona.

Attualmente, Di Pietrantonio lavora a una nuova serie di pitture esposta in una mostra personale intitolata You Lost Me presso The Gallery Apart, nata dall’opera sviluppata in occasione del Premio Conai. Inoltre, sta continuando il suo progetto avviato con il cortometraggio Farming e sta sviluppando il secondo episodio, che verrà presentato insieme a una serie di sculture fotografiche digitali. Un altro progetto inedito è quello per Spazio Taverna, che prende in considerazione ELIZA, una chatbot del 1960 riprogrammata per interpretare il personaggio di Hans Ulrich Obrist. Tutti questi progetti condividono la modifica di mondi virtuali attraverso il modding e altre tecniche, oltre a riflettere sulla dicotomia tra pubblico e privato e sulla relazione tra individuo e società.

Questa sovrapposizione tra mondo pittorico e digitale potrebbe essere percepita come un’asincronia all’interno della sua pratica e, seppur nel mondo dell’artista queste due pratiche facciano parte di una visione più ampia e il medium utilizzato sia solo un modo per esplorare la narratività da diverse prospettive, potrebbe essere necessario accompagnare il pubblico in questa prospettiva più integrata.

Nonostante ciò, il suo lavoro ha una forza visiva dirompente e riesce a dialogare con contesti ipercontemporanei senza perdersi nel flusso travolgente dell’innovazione, che impone a chi le segue di essere costantemente aggiornato e soggiogato all’obsolescenza tecnologica. Federica, infatti, usa il mondo digitale come medium progettuale, manipola il software digitale così come Borremans costruisce ad arte props e modelli e Vermeer usa la “camera obscura”.

Foto Eleonora Cerri Pecorella
Foto Eleonora Cerri Pecorella