Cremona 1974
Vive e lavora a Cremona
Studio visit di Elena Forin
23 gennaio 2024

Marco Scotti conosce molto bene il lavoro di Ettore Favini e il suo testo ne ha restituito una temperatura piuttosto precisa attraverso cicli come Arrivederci, che origina da un interesse tutt’ora fortissimo per il Mediterraneo, le sue rotte e l’intreccio delle sue culture. In studio, a Cremona, ci sono ancora alcune tracce di quella serie (oggi al Museo del Novecento di Milano) e di quella tutt’ora in corso, nata dalla residenza sulle montagne dell’Atlante in Marocco, dove ha trovato, abbandonati in maniera diffusa, dei sacchi usati per lo zucchero e la farina realizzati in un materiale plastico che ha generato un grande problema di inquinamento. Favini li usa insieme a tessuti preziosi, presi nei mercati ricamandovi i simboli tipici della tradizione berbera, fondendo così l’attenzione per lo scarto con quella per i materiali, la narrazione e il simbolo figurativo: sono questi i fattori di una visione che mette a fuoco un’ecologia dei luoghi, dei simboli, dei rapporti e delle relazioni.

La pratica dell’artista appartiene a quel panorama di indagini che hanno origine dalla frequentazione diretta di luoghi e comunità: nello specifico, ogni suo lavoro nasce da interessi che intersecano la storia delle città, dei quartieri, degli ambienti, delle geografie, dei flussi economici e, per l’appunto, delle relazioni tra le persone. A questi elementi si aggiunge una analisi attenta dei materiali, delle loro lavorazioni tradizionali, e dei codici visivo-decorativi che le persone vi hanno impresso: da queste matrici si articola una ricerca solida, coerente e sempre tesa al raggiungimento di nuovi approdi formali. Il dialogo tra piano concettuale, visivo e tecnico/linguistico è, infatti, uno dei nodi del suo operare: le pratiche collaborative e la matrice relazionale di alcuni progetti aggiungono a questa cornice un ulteriore motore di apprendimento a un approccio già tanto denso e impegnato.

In studio trovo alcune opere in cui convergono i suoi interessi per un altro bacino, questa volta fluviale. Il Po connota senz’altro il quotidiano di Favini e del folto universo di persone che abitano lungo il suo fluire tra regioni, paesaggi e microclimi diversi. Per le comunità i fiumi sono fondamentali: hanno contribuito alla creazione degli aggregati civici, hanno consentito lo sviluppo delle economie e la circolazione delle merci, hanno un impatto sul paesaggio e sulla natura. I cambiamenti climatici, e in particolar modo l’alternanza tra siccità e alluvioni, ne hanno mutato profondamente gli habitat e stanno incidendo sullo sviluppo e l’andamento del loro corso. Per questo l’artista realizza un’installazione in acciaio e led che ha per oggetto il segno tracciato dal Po e dai suoi affluenti nel loro articolarsi dalla sorgente alla foce. Per questa opera, che verrà esposta alla Cattolica di Milano e di cui ha realizzato una versione precedente, Fragili rive, permanentemente esposta sotto la Galleria XXV aprile di Cremona, sceglie appositamente ─ e simbolicamente ─ un materiale specchiante in cui gli individui vedono la loro immagine riflessa in quella del fiume (a stabilire una connessione tra luogo, elemento naturale e umano), e in cui la luce ‘accende’ il tema dell’urgenza legato ai rapidi mutamenti in atto.

Alla fine del 2022 ha esposto da ICA a Milano una scultura realizzata direttamente sull’argine del fiume, per documentare attraverso un calco reale (e con materiali reperiti in loco) il ridimensionamento dell’alveo e il suo deterioramento, mentre in un workshop a Capo di Ponte, ha chiesto a bambini di varie età di dire cos’è secondo loro un fiume, traducendo su tessuto i loro disegni e stampando e ricamando alcune silhouette in filo d’oro ─ per restituire la preziosità e l’inaccessibilità di una fonte energetica, quella dell’Oglio, ormai appannaggio delle compagnie elettriche.

Un approccio di questo tipo, in cui i supporti e le lavorazioni si legano a valori culturali circoscritti, non può che generare risultati formali diversi, creando delle interferenze all’interno di un mercato che premia la continuità visiva.

Se ogni serie scaturisce dal rapporto di necessità che l’artista crea con un contesto, un tema, una comunità, una storia e le sue tradizioni, il lavoro può non essere sempre riconoscibile. Ad esserlo inequivocabilmente è però il metodo, saldamente radicato nella sua pratica: Favini è uno sperimentatore incessante delle tecniche e dei linguaggi, che sottopone a continue tensioni e a trattamenti sfidanti, proprio come quelli a cui vanno incontro le persone, gli ambienti, le geografie e i segni ─ tra sfruttamento, erosione, dispersione, tradizione, resistenza e cambiamento.