Enzo Calò

Palermo 1984
Vive e lavora a Palermo, Tenerife e Madrid
Studio visit di Daniela Bigi
12 ottobre 2023

Enzo Calò è uno dei fondatori de La Siringe, insieme a Davide Mineo e Gabriele Massaro. Questa condizione, che evidenzia l’impegno nel vivacizzare dal basso la scena palermitana, nel suo caso ha anche a che fare con la sostanza stessa del lavoro, con il suo interesse per i fenomeni di relazione, in particolar modo le trasformazioni che le persone, le architetture e le cose subiscono nel momento in cui si trovano a interagire fisicamente con altri corpi/luoghi/funzioni/segni. Lo interessano le tracce di quelle interazioni, i “passaggi di stato”, potremmo dire, che avvengono a ridosso di quei contatti, pertanto le pareti de La Siringe, lasciate volutamente scabre a documentare il sovrapporsi degli interventi lungo i secoli, rappresentano per lui non solo un terreno di osservazione ma una sorta di statement. Forse esistenziale prima ancora che artistico. Da qualche anno vive a Tenerife, a Madrid e a Palermo. In Spagna le sue opere stanno conquistando via via lo spazio esterno. Mi spiego meglio. La sua formazione in Scenografia presso l’Accademia di Palermo lo ha portato fin dagli inizi a esplorare i significati dei luoghi e le profondità temporali. Questi fulcri sono diventati chiari quando ha iniziato a disegnare a penna su taccuini che, nel formato intimo della doppia pagina, ma estendibili a formare nastri continui, gli permettevano di «raccontare un viaggio del segno; segno che di pagina in pagina mutava, raccontava il tempo e costruiva “ambienti” sempre nuovi, in una continuità di tipo filmico». Poco dopo è nata una serie di quadri bianco su bianco che nell’uso combinato di prospettiva lineare e prospettiva aerea indagavano lo strutturarsi dei corpi nel microcosmo e nel macrocosmo. Una sorta di riflessione su doppia scala che interrogava, sostanzialmente, le forze che intervengono nella relazione tra gli elementi quando li troviamo impegnati a formare strutture complesse, che siano quelle dei microrganismi o quelle planetarie. Il punto sta nel creare una condizione riflessiva che le possa contemplare entrambe. Architettura e astronomia sono intervenute dunque a precisare quell’istanza spaziale di tipo immersivo nata dalla pratica scenografica.
Perché mi riferivo alla Spagna? Perché è lì che i suoi quadri hanno cominciato a ispessirsi, a guadagnare la profondità del bassorilievo (sempre astratto-geometrico, sempre bianco) e poi ad aspirare alla percorribilità e alla precarietà dell’opera tridimensionale, con la sua “abitabilità”, col suo chiedere l’interazione di altri corpi, mentre a sua volta, divenuta scultura, anela a contaminarsi con lo spazio circostante. La Spagna è il luogo in cui il suo interesse per l’architettura, per lo stratificarsi delle tracce umane lungo i passaggi dei popoli e delle epoche, la sua consapevolezza storica dei caratteri della propria terra d’origine si sono estesi a implicare l’osservazione dei legami materiali e immateriali che costruiscono un ampio e trasversale presente.
I temi non sono nuovi, è vero, ma forse in questi anni la priorità non sta nell’originalità degli assunti, né nel modo di dargli forma, quanto nel mantenere la connessione con il corpo, con il paesaggio, con la Storia. I facili entusiasmi, o i semplicistici rifiuti, illustrano i volti di un’epoca, sì, ma di fatto non ne problematizzano la lettura. Questo è il nodo.
In questo momento, nello studio di Madrid, l’artista sta lavorando a una grande installazione in cartone strutturata su un susseguirsi di pieghe che creano ambienti interni e aggetti esterni pronti a relazionarsi al tessuto urbano (o al contesto naturale – come mi racconta – per allargare il campo di verifica).

Se devo cercare un aspetto ancora non del tutto risolto nel suo lavoro – ma lo stesso vale per altri giovani artisti che esprimono la necessità di ragionare in termini di interazione – direi che vada rintracciato nella necessità che si metta a fuoco con maggiore precisione il senso e la modalità dell’interagire. Parlarne in modo astratto, o rispondendo a un’istanza generalizzata, non basta più. È necessario un passaggio ulteriore per far sì che il modello relazionale/partecipativo possa sventare il rischio di trasformarsi in un costrutto svuotato. Calò lo sa, e sa anche come superare l’ostacolo. Si tratta di lasciare affiorare le profondità.

Riflettendo sui tratti più convincenti del progetto in lavorazione direi che sono legati in primis alla capacità di chiamare in causa la storia della scultura novecentesca, rinfrescando contenuti che credo sia piuttosto interessante ripensare oggi. Ma la caratteristica più forte, legata alla sua essenza effimera e alla specificità della sua progettazione, è sicuramente la “portabilità”, la quale rimanda a una dimensione nomadica dell’opera che invita a rimetterne a fuoco lo statuto.