Yuri Ancarani

Ravenna 1972
vive e lavora a Milano e a Ravenna
studio visit di Daniela Trincia
6 aprile 2024

Da Milano a Ravenna, lo studio di Yuri Ancarani, con affaccio sulla piazza centrale della città, oltre al grande tavolo con gli strumenti di lavoro è attualmente occupato da decine di scatoloni che aspettano di trovare sistemazione nelle diverse librerie che da anni accompagnano l’artista nei suoi spostamenti. Come lui stesso più volte sottolinea, essendo costantemente in viaggio, può lavorare da una stanza di un albergo o dal vagone di un treno.

Marco Scotti ha già evidenziato, nel precedente studio visit all’artista, l’interesse di Ancarani per l’immagine in movimento, attraverso cui esplorare il gigantesco mondo in cui viviamo e che, progressivamente, ha sempre più acquisito una veste filmica. Atlantide e Il popolo delle donne, gli ultimi lavori realizzati, ne sono una chiara riprova. Altrettanto lo attestano i canali attraverso cui sono presentati, sia in festival del cinema che nelle sale cinematografiche. Tuttavia, è imprescindibile il fatto che i suoi lavori non sono mai pensati per una visione specifica e prestabilita, bensì fruibili, in modo del tutto indifferente, in una galleria come in un museo, al cinema come sullo schermo di uno smartphone.

Yuri Ancarani appartiene, dunque, a quella generazione di artisti italiani, come Masbedo, Daniele Puppi, Goldschmied & Chiari, Rä di Martino, che, negli anni Novanta, ha visto nel video (nelle sue diverse declinazioni) tutte le potenzialità espressive e la gamma di possibilità di ricerca. Un’indagine che, in apparenza, accoglie tutte le coordinate del cinema ma che, in realtà, immediatamente le ribalta e le sovverte, per estremizzare il linguaggio nonché il mezzo. Quell’esasperazione rintracciabile pure in Arthur Jafa, Julian Rosefeldt, Pierre Huyghe.

Anestetizzati dal flusso di notizie come di immagini, dal progresso tecnologico che gradualmente si sostituisce alle personali elaborazioni, azioni, prove, i video di Ancarani ci consegnano esperienze vissute in prima persona per capire, come già detto, il gigantesco mondo. Questo suo desiderio ha due innegabili risvolti positivi: la conoscenza di situazioni e consuetudini non comuni e la loro condivisione con lo spettatore. Opere che, nella loro bellezza formale, affrontano sempre temi di un indiscusso rilievo, quali il lavoro (la serie La malattia del ferro, 2010-2012), i giovani (Atlantide, 2021), la distribuzione della ricchezza (The Challange, 2016), la violenza di genere (Il popolo delle donne, 2023, con la psicoterapeuta e psicoanalista Marina Valcarenghi) come anche la violenza in generale (la serie Le radici della violenza, 2014 – in corso). In questo momento, oltre ad essere impegnato nel trasloco, ha scelto di dedicarsi alla presentazione del suo ultimo film, Il popolo delle donne, che lo porterà in giro per l’Italia.

Muovendosi al di là di categorie prestabilite, accogliendo gli spunti offerti dal cinema, come anche dai documentari, dai videoclip e dalla videoarte, prendendo spunto da suggestioni personali, sempre diverse e inedite, liberamente originate da immagini, dal suono e dalla musica (pilastri nella sua produzione), in una costante e continua ricerca, Ancarani ha dato vita a un genere piegato alle sue personali necessità. Cosicché la riflessione su un solo lavoro, preso nella sua unicità, potrebbe far affiorare possibili elementi irrisolti, in generale individuabili in una certa compiacenza per i dettagli.

È il suo sguardo intimo e personale sul mondo a rendere ogni lavoro singolare. Perché i suoi film «cercano di emulare al massimo il mio occhio e come vede quello che mi circonda, utilizzando tutte le tecniche possibili». Ogni film sembra girato altrove, lontano; in realtà, ad eccezione di quelli realizzati nel Paese più ricco del mondo (il Qatar) e in quello più povero (Haiti), sono tutti girati intorno a lui, in Italia. La sua attenzione dà forma a ciò che desidera trasmettere allo spettatore, anche il non rappresentabile (su tutti la seduta spiritica di Séance), guidarlo a vivere un’esperienza, a elaborare un proprio punto di vista. Utilizza così tutte le tecniche senza precise regole, per far emergere le contraddizioni sociali di quello spaccato di realtà preso in esame. Sempre in luoghi e con soggetti veri, mai diretti, senza un racconto puntuale, perché la volontà è quella di portare lo spettatore in un mondo che non conosce e fargli provare le stesse sensazioni vissute da lui in quel momento.

Foto di Adelina Burdujanu
Foto di Adelina Burdujanu