Vinicius Vallorani

Rio de Janeiro 1985
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Edoardo De Cobelli
4 giugno 2024

Lo studio di Vinicius Vallorani è un luogo invaso con ordine. Un caos calmo di telai sovrapposti, tele addossate e prove di sculture disposte con cura tra le piante e le vetrate. Di origini marchigiane, Vinicius è un artista che in questi anni ha sviluppato, a partire da una riflessione sullo spazio di rappresentazione della tela, uno stile pittorico molto personale. La sua pittura si potrebbe definire come un linguaggio, perché, come per artisti quali Carla Accardi o Giorgio Griffa, nasce dall’utilizzo di forme ricorrenti che si fondano su piccole differenze apparenti. Dominati nel tempo e nella ripetizione, nell’uso e nell’espressività, gli squarci astratti dell’artista diventano un vocabolario spaziale, che supera i confini della tela. La linea spezzata di demarcazione definisce lo spazio rappresentativo e allo stesso tempo un dialogo tra vuoti e pieni, sempre al centro della sua logica spaziale. Talvolta, la stessa delineazione dei campi visivi si ritrova anche nelle forme scultoree, ceramiche smaltate finora perlopiù di colore nero. Nell’ultimo progetto, da Kuboraum, il gioco tra pieni e vuoti è stato esaltato dall’uso di uno specchio che rifletteva la tela, sostenuta da una cornice metallica aggiuntiva di natura installativa.

Dal panorama di un certo tipo di pittura tornata all’attenzione della scena contemporanea, la sua pratica si discosta fortemente. Innanzitutto perché non è narrativa, mentre la nuova attrattiva della pittura si fonda sulla rappresentatività; in secondo luogo perché raccoglie l’eredità delle sperimentazioni degli anni Cinquanta e Settanta, come in pochi fanno oggi. La sua ricerca si ispira al Gruppo Forma, ad Antonio San Filippo, ad Annie Albers e a una scrittura pittorica modulare e minimale quasi dimenticata a distanza di così pochi anni. Inoltre, la riflessione di Vallorani nasce da una volontà di deskilling della pratica pittorica, che riparte dal bozzetto e dal segno, mentre oggi dominano la scena i colori e la saturazione visiva.

Ma la domanda che la ricerca sembra porsi è: come far diventare la pittura comunicativa nello spazio, al pari della scultura con l’ambiente? In questo senso, l’artista sembra ereditare anche le domande che si posero artisti come Lucio Fontana.

Il discorso intorno all’arte da allora è tuttavia mutato e si è evoluto nel confronto con alcune discipline, soprattutto teoriche e scientifiche; la complessità tecnico-scientifica è incrementata e così i modi di fare arte. Dall’esperienza maturata durante il master a Stoccolma, Vinicius si è confrontato con la fisica, le scienze cognitive, le possibili correlazioni che trascendono la contingenza del vissuto, avvicinandosi alle teorie di Aby Warburg. Ad affascinare l’artista sono stati i saggi della fisica relazionale di Karen Barad, conosciuta nell’ambito artistico per il saggio Performatività della natura, dove lega la fisica quantistica alla concezione della materia. Le forme che traccia nascono proprio da una maniera di poeticizzare i concetti della fisica quantistica. In questo periodo, l’artista sta invece immaginando un progetto scultoreo composto da una serie di totem computazionali, dall’aspetto auto-generativo, composti da segmenti di ceramica, in attesa di trovare il luogo adatto dove esporli.

Gli spazi e le campiture delle tele di Vinicius non mancano di una piacevolezza puramente estetica. Le tele in lino grezzo, i colori pastello perfettamente distesi e le forme inventate dall’artista generano un’armonia unica e personale capace di trasmettersi con immediatezza anche a chi di arte non ne sa o poco ne conosce.

Questa è una forza rara nei linguaggi attuali dell’arte contemporanea e l’artista dovrebbe sfruttarla di più, esponendo più frequentemente il suo lavoro, forse anche correndo il rischio di contagiare luoghi non adibiti e travalicare i confini, per entrare nello spazio urbano.