Valentina Furian

Italia 1989
Vive e lavora a Milano e a Bologna
Studio visit di Elena Forin
10 ottobre 2023

Laureata allo IUAV di Venezia, Valentina Furian lavora in studio e nei luoghi in cui nascono e si sviluppano i suoi progetti. Spesso identificata come un’artista video, si dedica in realtà anche ad altri linguaggi. Come Marco Scotti, che ha già scritto di lei (e che ha restituito con cura la sua produzione video), l’ho incontrata a giugno a Bologna durante la residenza del Nuovo Forno del Pane – Outdoor Edition organizzata dal MAMbo. Qualche mese dopo, per questo studio visit 2.0, ci siamo viste nel suo studio di Milano. Tra questi due momenti ha inaugurato Stormi a Latronico nell’ambito del festival A cielo aperto, e Axel Island, il progetto per Living Room a Cuneo: con questo secondo dialogo abbiamo fatto il punto sugli ultimi lavori scultorei, performativi, e sui disegni.

Uno dei nodi critici della sua indagine risiede nell’analisi del rapporto tra componente umana e animale, che sta approfondendo anche attraverso studi legati alle ritualità popolari, all’arte medica e alla stregoneria. Un fronte di ricerca questo, che sta interessando in maniera trasversale il mondo della cultura sociologica, filosofica, medico-scientifica e visiva su scala internazionale. Questa stessa trasversalità di discipline, di sguardi e di sfumature è presente nelle sue opere, che restituiscono prospettive sempre nuove sulla natura degli individui.

La residenza a Bologna ha favorito la sperimentazione dei materiali e delle loro possibilità, la connessione con molteplici realtà del territorio ha nutrito alcuni aspetti specifici della sua ricerca: in particolare l’incontro con Bologna Magica e gli itinerari sull’idea di mistero hanno fornito una cornice di studio delle erbe e del fenomeno culturale e antropologico della stregoneria. Coniugando queste visioni con la contaminazione tra mondo animale e umano, è nato Stormi, la cui natura si radica anche nell’esperienza immersiva con il territorio di Latronico e nel successivo e necessario distacco da esso. La tradizione dei miti connessi a piante e animali si è quindi unita a temi sociali legati alla migrazione e al ritorno, e da questi elementi Furian ha realizzato delle sculture che riprendono il becco di un uccello migratore e che oggi sono a tutti gli effetti un’opera pubblica per chi vuole vivere la propria metamorfosi in un essere ibrido, umano e animale. Questa esperienza viene attivata sia dall’assimilazione di un liquido creato con erbe spontanee, sia portando la scultura-becco alla bocca.

Oltre al rapporto tra queste due dimensioni, un altro nodo critico del suo lavoro risiede nello scarto tra luce e ombra. La tensione tra questi poli è presente in tutti i suoi video e si può rintracciare anche in Lucignolo, prodotto da Recontemporary di Torino, una protesi in ottone da infilare nelle dita che ricorda un artiglio. Avendo però a disposizione una parete e una fonte luminosa, l’opera attiva una riflessione sullo scarto tra realtà e finzione: nel gioco delle ombre, infatti, la mano non proietta le fattezze di una belva ma di un asino. Ad avere un ruolo cruciale in questa dimensione sono anche i disegni. Il segno in questi lavori spesso si interrompe lasciando che il vuoto subentri tra le linee: la lettura dell’insieme è però così completa da far pensare a qualcosa che non ferma fisicamente l’artista nel tracciare la forma, ma a qualcosa che, come un lampo di luce accecante, interrompe la percezione. Non stupisce quindi che Furian abbia messo alla prova queste opere su scala ambientale, stampandole su pellicole da applicare al vetro in modo che la luce, infrangendosi contro le superfici, crei delle proiezioni nello spazio, amplificando le proporzioni e facendo diventare questi animali disegnati delle bestie spaventose.

Oltre a queste, durante il nostro primo incontro abbiamo visto anche opere che coniugano fotografia, disegno e metamorfosi umano/animale: qui la parte visiva non è ancora del tutto a fuoco. Come è accaduto con le sculture di Latronico però, Furian si sta confrontando con quella trasversalità che le appartiene e al prossimo incontro misurerò la crescita anche di questo percorso.

La forza della sua indagine risiede (paradossalmente, dato che il buio è una dimensione evidente) nella chiarezza delle sue visioni e delle direzioni che percorre. La parte visiva traduce con immediatezza la densità dei suoi ragionamenti, mentre l’aspetto performativo aggiunge intensità agli ultimi lavori che coinvolgono lo spettatore in metamorfosi inaspettate.

Foto di Federico Landi e Valentina Cafarotti (MCE)