Thomas Braida

Gorizia 1982
Vive e lavora a Venezia
Studio visit di Stefano Coletto
30 novembre 2023

Pittore e scultore, Thomas Braida cresce in una zona di confine tra l’Italia e la Slovenia, e dopo aver frequentato l’istituto d’arte della sua città, si forma all’Accademia di Venezia. Vince nel 2010 un premio per la grafica con un collage sorprendente e bislacco, certo non una composizione finalizzata a comunicare un messaggio, bensì l’antigrafica per antonomasia, un impasto di facce, animali, teschi, pupazzi per suggerire che esistono mondi non allineabili e non rappresentabili nel layout della comunicazione. In giuria aveva un fan come Nico Vascellari.

Un altro step: i dipinti sui tappi, come se ogni oggetto potesse animarsi di forme impertinenti, beffarde, abitanti dei margini. Le cifre di partenza sono quelle espressionistiche, il grottesco, il beffardo, l’ironico, impastati con un’attitudine istintiva alla figurazione, con articolati percorsi di sintesi anche nelle trame narrative, riferimenti a mitologie e temi classici degradati ironicamente a piccola quotidianità; sarcasmo e sberleffo nei titoli e negli accostamenti alogici. Tra i pittori di quel mitico e vero organismo dalle tante teste dell’Atelier F dell’Accademia di Venezia è uno di coloro che ottengono una rapida visibilità.

Dal 2014 la collaborazione con la Galleria Monitor, poi Le dictateur a Milano, a cura di Caroline Corbetta, la collettiva Shit and Die a Palazzo Cavour di Torino curata da Maurizio Cattelan e così via; basta scorrere le tappe del suo curriculum.

Abita a Venezia, in un appartamento che diventa anche il suo atelier. Schivo, le parole sono misurate, pesate ma arrivano dirette. Gli occhi ti guardano veloci, poi si spostano intorno con rapidità, come il suo corpo; reattivo, celermente passa da un punto all’altro dello spazio. Scorgo degli anelli da palestra che scendono dalle travi.

Conoscendo l’artista mi aspettavo disordine, macchie di colore, nylon a terra per proteggere il pavimento… invece, in questo spazio veneziano tutto è ordinato, fruibile come in una mostra. Il dubbio: Thomas ha riordinato per l’occasione.

«Qui tengo i lavori piccoli, recenti e i quaderni; i lavori più grandi sono a Gorizia», dice. Ti guardi intorno e cogli la vivacità di questa quadreria; a volte paiono prove per soggetti da dipingere su superfici più grandi, altre volte Thomas gioca con le cornici, decorandole, mutandone il formato. Poi Il teschio, in tante versioni, che torna sempre e da sempre; esorcismo, vanitas, anarchia. Sul comodino una scultura in ceramica, una forma organica di straordinaria lucentezza cromatica: «sperimento il colore con la ceramica in Portogallo, dove ho scoperto degli artigiani bravissimi».

Ecco, a volte non sai bene dove guardare, sembra che il suo lavoro non trovi il giusto bilanciamento tra tensione materica e attitudine figurativa, è come se radicalizzasse le tensioni, scompaginando ogni spazio, o con una densità narrativa meramente aneddotica. Come se ognuno di questi lavori balzasse dalle pagine di uno dei suoi splendidi quaderni, piccole pagine potenti, in cui il suo immaginario acquista una dimensione più intima, raccolta, ma ancora non trovasse un compimento.

Poi rivedi le grandi tele in cui forza cromatica, corpi assorti in un tempo mitico e limpida visionarietà paesaggistica trovano una sintesi di rara qualità, quasi un realismo straniante e magico. Gli ricordo la bellissima tela Azofstal Spring Time, realizzata nella residenza Malanotte l’anno scorso, in una ex fabbrica, in provincia di Treviso curata da Daniele Capra: il sogno ambiguo di una primavera sullo sfondo della tragedia della resistenza ucraina. «Dove si trova quella grande tela?», chiedo, «da un collezionista».

Tra le cose recenti che Thomas sta facendo, oltre a un paio di mostre imminenti, tra le quali un progetto con il collettivo Fondazione Malutta, mi accenna alla docenza in un laboratorio allo Iuav nell’indirizzo di Arti multimediali. Pare felice e penso immediatamente: lui così intuitivo, enigmatico si mette in gioco con una docenza. Ottima occasione per crescere, alimentando le matamorfosi dell’immaginario che lo caratterizza.

Prima di uscire, vedo su una parete il dipinto di un libro in verticale prossimo ad aprirsi che domina tutto lo spazio pittorico, e poi, in un’altra stanza, un secondo volume squadernato in primo piano.

L’impaginato dell’oggetto mi ricorda Gnoli, ma emerge una raffinata velatura di tonalità di rosa: «che cos’è questo minimalismo, Thomas? Un nuovo percorso?», «Forse…», mi risponde, e mi accompagna all’uscita.