Thomas Berra

Desio 1986
Vive e lavora a Barlassina
Studio visit di Edoardo De Cobelli
17 febbraio 2024

I racconti di Thomas Berra sono quelli di un viandante, che dal Marocco alla Scandinavia ha viaggiato e vissuto per diversi anni. Vagabonde sono invece le piante selvatiche che, fin dall’inizio, così denomina e ritrae in un mondo onirico e selvaggio, come all’interno dell’ultima mostra di Ca’ Pesaro intitolata, in maniera evocativa, In quel camminare dove i piedi ti portano.

Incontrando l’artista nel suo studio, si capisce subito che la pittura apparentemente calma e soave di Berra è certamente il distillato di qualcosa di più denso e inarrestabile, un flusso continuo che scorre sulle tele, nei viaggi, nelle relazioni, come espressione di vitalità artistica e umana. Thomas è un narratore generoso sia di immagini che parole. Le pareti della sua casa-studio sono coperte di decine di opere di amici con il quale ha scambiato i lavori in anni di amicizia. Lo studio di Barlassina è nel cuore della Brianza lavoratrice, patria dell’artigianato, dei laboratori e del commercio, come nel caso del suo piano terra, un tempo negozio di elettrodomestici. Lo studio si estende a occupare tutto il piano dell’abitazione e prosegue inarrestabile al primo, occupando con ordine e compostezza ogni parete visibile, per arrestarsi, infine, in un salotto con camino e un piccolo archivio con scrivania. È uno spazio ampio, adatto ad accogliere altri artisti e a nutrire scambi creativi, idea che Thomas da qualche tempo ha in mente, ma per il momento sono le sue grandi tele a far da protagoniste vicino a serie di piccoli quadretti, che l’artista porta avanti come un mantra quotidiano.

Il taglio a 45 gradi della cornice delle sue opere le rende apparentemente distaccate dalle pareti e prive di spessore, come una diretta e non mediata finestra sull’immaginario. Le rappresentazioni reclamano il mondo naturale nella forma di un universo vegetale in costante autoaffermazione: piante, erbacce, arbusti straripano nelle tele accettando la diversità di soggetti a essa estranei, figure stilizzate ed eleganti che coesistono nella forza circostante. È un mondo chiuso ma perennemente mutevole e inaspettato, tanto che mi ricorda un atipico manuale del botanico e scrittore Antonio Perazzi, intitolato Il paradiso è un giardino selvatico. «Nell’adoperarsi dietro a un giardino, o più in grande scala a un paesaggio, il tempo si dilata nell’osservazione…», dice Perazzi nel suo lavoro, e a osservare le tele di Berra, ci verrebbe da dire, accade lo stesso. Thomas progetta erbari, giardini e paradisi selvatici che sfociano nel fantastico, nel fiabesco e nell’incantato. 

Questo orizzonte visivo non si limita alla pittura. Thomas ha negli anni sperimentato il disegno su carta, che in Italia rimane sempre troppo poco apprezzato e, ovviamente, la performance, in numerose occasioni, mentre ora sta lavorando a un esteso progetto che coinvolge la ceramica. Berra lavorerà a fianco di un’azienda e della curatrice Viola Emaldi per dar vita a un nuovo ciclo di lavori, che vedremo in alcuni appuntamenti dell’arte contemporanea.

Le opere di Thomas sono dirette, parlano senza bisogno di mediazione. Parlano anche con gioia, senza paura di essere ridotte a una dimensione decorativa. Quello che infatti rappresenta la potenziale debolezza della pittura dell’artista – il rischio di rimanere in superficie, di essere bella ed esteticamente accattivante ma in maniera irriflessiva – è allo stesso tempo la forza del suo linguaggio.

Come dice lui stesso, menzionando in una recente intervista anche il testo Elogio delle vagabonde, di Gilles Clement, nella semplicità delle forme vegetali trova costantemente una forza espressiva e immediatezza che desidera trasmettere come un messaggio. Anche dove l’immagine è più complessa, nelle grandi tele, la vegetazione non perde mai il suo carattere di semplicità e sinteticità: una rappresentazione che porta, dunque, volutamente il segno meno, della riduzione, piuttosto che dell’artificio.