Sabino de Nichilo

Molfetta (BA) 1972
Vive a lavora a Roma
Studio visit di Nicolas Martino
26 luglio 2024

Sabino de Nichilo ha studiato Scultura all’Accademia di Belle Arti di Roma e ha esordito come artista negli spazi del Rialto Santambrogio, uno spazio occupato nel cuore del ghetto romano diventato una realtà importante nella vita culturale e artistica della capitale di ormai vent’anni fa. Ha sempre affiancato a quella dell’artista un’attività come animatore e organizzatore, tanto che ancora oggi si occupa di Casa Vuota, un interessante progetto espositivo site-specific in un appartamento del Quadraro, nuova frontiera della ‘movida’ romana.

Il suo lavoro, che si sviluppa attraverso la scultura, l’installazione, la performance e chine su carta, consiste soprattutto di lavori realizzati in ceramica che riproducono una serie di organi disarticolati rispetto ai corpi dai quali dovrebbero provenire. L’artista lavora intorno al corpo esploso della nostra cultura eteropatriarcale, ovvero dà forma a una critica artistico-politica alla normatività del corpo che ne determina l’assoggettamento e i limiti funzionali alla sua capitalizzazione. Per essere più chiari: le decine di centinaia di organi realizzati in argilla, in grès, porcellana e colorati con smalti squillanti – frammenti d’intestino, brandelli di fegato, sfinteri e altre frattaglie ‒, disarticolati rispetto al corpo dal quale sono stati asportati e quindi defunzionalizzati, aprono la prospettiva di nuove e diverse articolazioni per una serie di corpi a venire che moltiplichino le loro possibilità di essere. Sono lavori che rimandano a un immaginario post-umano che ricorda quello del regista David Cronenberg e prima ancora quello dello scrittore William S. Burroughs, entrambi affascinati dal tema della mutazione del corpo, dei suoi confini e delle sue possibilità. Questi lavori, che de Nichilo definisce “sculture da camera”, li potremmo chiamare anche ‘assemblaggi’, nel senso che la disarticolazione di un corpo mutante passa sempre e anche attraverso una diversa ricombinazione di frammenti diversi.

Credo che l’importanza di questo lavoro risieda proprio nell’indagine intorno ai nostri corpi e alle nostre identità mutanti – qui è inevitabile il rimando agli scritti di Francesca Alfano Miglietti e Tiziana Villani ‒, e nel tentativo di tradurre artisticamente il concetto di corpo senza organi di Antonin Artaud e quindi di Gilles Deleuze e Félix Guattari: un corpo anti-istituzionale e, come dicevamo prima, defunzionalizzato, che sfugga all’apparato di cattura che lo vuole sempre organizzare entro confini economicamente e politicamente perimetrabili. Questo è un tema particolarmente importante quando la consistenza dei corpi viene messa in discussione dai processi di smaterializzazione, ma allo stesso tempo la loro ‘durezza’ è testimoniata dai tentativi di normalizzare quelli non conformi, e quindi la materialissima esistenza di una vita che coincide ancora con il corpo passa attraverso la sua sofferenza. In questo senso vale la pena nominare anche due installazioni del 2022, ¡Átame!, che in qualche modo rimanda all’omonimo film del regista spagnolo Pedro Almodóvar, e soprattutto Monamùr, ovvero come recita il sottotitolo “un esperimento critico contro il patriarcato”. Entrambe queste opere, portatrici di una certa violenza visiva, permettono di inquadrare meglio la valenza critico-politica di tutto il lavoro di de Nichilo.

A studio si possono vedere molte delle porcellane di cui abbiamo parlato, alcuni lavori più nuovi che sono dei veri e propri ‘assemblaggi’, come dicevamo, per organi e corpi a venire ‒ tanto che camminando attraverso questi elementi organici sembra di essere sul set di un body horror ‒, e anche alcune delle raffinate chine su carta cotone. Dovendo individuare un punto di debolezza in questa proposta potremmo sottolineare due aspetti: da un lato la mancanza di una mostra e quindi un catalogo che riunisca complessivamente un’attività ormai quasi ventennale, permettendo di coglierne tutta la portata e, dall’altro, una grande potenzialità di sviluppo, sia dal punto di vista estetico che politico, ancora inespressa. Quest’ultima osservazione in realtà costituisce, contemporaneamente, un punto di debolezza ma anche di forza del lavoro di Sabino de Nichilo.