Rosario Antoci

Ragusa 1966
Vive e lavora a Ragusa e a Catania
Studio visit di Francesco Lucifora realizzato il 14 novembre 2023
16 dicembre 2023

Mi sposto in direzione di Ragusa. Qui, tra la piazza delle Poste, il monumento ai Postelegrafonici e la via che scende verso Ibla, si trova lo studio di Rosario Antoci, un basso di un edificio storico, con volte alte e una luce che non ti aspetti. Dopo la formazione presso l’Istituto d’arte di Comiso e l’Accademia di Firenze, sceglie di vivere nei luoghi dove è cresciuto, a volerlo dire con le sue parole, «una resistenza a partire da un sud povero, seducente e mai opportunamente valorizzato» (da un’intervista su «Vivere» settimanale de «La Sicilia» del 2016). Rosario Antoci è presente in Tina b. The Prague Contemporary Art Festival di Praga, Venti x venti per la Galleria Beukers a Rotterdam, Anteprima. XIV Quadriennale Palazzo Reale di Napoli e in Vergine d’oliva – artisti italiani al Parlamento Europeo di Strasburgo. Dal 1998 è docente di Anatomia artistica all’Accademia di Belle Arti di Palermo e più tardi a Catania. Ulteriore elemento di interesse è il supporto dato ai progetti no-profit che premono nella parte orientale della Sicilia unito alla disseminazione critica che lo vede presente lì dove è necessario affinché le pratiche del contemporaneo abbiano luogo. Penso al suo contributo nella fondazione del CoCA, archivio biblioteca di arti contemporanee di Modica, nel Laboratorio di urbanistica partecipata sul centro storico di Ragusa superiore, nel comitato scientifico del Ragusa Photo Festival e alla recente ideazione di YPIA – Young Photographers from Italian Academies.

La sua dimensione artistica originaria risiede nella scultura. Gli ambienti installativi di grande formato comportano l’uso combinato di cemento, malte, resine e fibre di vetro. Sono ‘registrazioni’ che creano un paesaggio fatto di elementi temporanei e che diventano continuamente spazio. Temi già presenti in progetti come Andata e ritorno e Sismografie,che prefigurano una precisa militanza artistica e culturale. Il valore della sua poetica testimonia il legame tra arte e vita e una pacata distanza dall’arte per l’arte. La scultura e l’installazione si fondono con l’indagine fotografica che diventa sguardo privilegiato.

In relazione al presente dell’arte, Rosario Antoci mostra la fascinazione verso un paesaggio mobile, incerto, frequentabile, che si oppone alla trattazione spesso troppo carica di stereotipi e addomesticata da motivazioni antropologiche. Da qui proviene la scelta di scomporre le foto in riquadri singoli, un multischermo dove ogni elemento si presenta come parte dell’intera fotografia stampata su pvc e imbottita di gommapiuma. Il confine tra scultura e fotografia scompare per approdare a un voluto squilibrio visivo che scompone e ricompone, depista e ritorna a un nuovo assetto. Ti sembra di stare davanti a oggetti transitori, ogni quadrante è rigonfio, dilatato, elementi temporanei che diventano testimoni di un luogo che si moltiplica.

Rosario Antoci ha fede nel ‘provvisorio’ come possibilità di intervento. È lunga la strada e faticoso il processo che sostanzia il suo ampio sguardo sul paesaggio come ricerca, spazio mutevole e scena delle generazioni che si alternano e si muovono al suo interno. Sul tavolo ci sono quattro lavori conclusi nel 2021 che appartengono alla serie Sky Maps_Costellazioni e galassie iniziata nel 2019; frottages sul cartoncino delle scatole dei medicinali, lì dove insiste il rilievo in scrittura braille. Credo si diverta nel citare la fiducia dell’umano nei confronti del farmaco, della divinazione, delle conoscenze mediche, chiromantiche e astrologiche, in attesa di diagnosi e prognosi. La stessa fede nel provvisorio, lo ha portato, in certi casi, a prolungate interruzioni tra i progetti, attese di produzione che sembrano non gradire finalizzazioni, quasi subentri l’idea, in contrasto all’iper-produttività, di lasciare che i lavori non conclusi si nutrano di tempo, storia e accadimenti. Frontiera Sud, ad esempio, è tra quei lavori che risente di una prolungata gestazione che, fino a questo momento, lo classifica come una serie non conclusa.

Dagli anni 2000 in poi, riesce nell’intento di svelare quelli che mi piace chiamare i ‘non contesti’, incontri ravvicinati con porzioni di spazio, strade che attraversano parti di territorio, lande di mezzo tra le città e i cantieri in Sicilia, ad Amsterdam, a Siviglia e nelle Fiandre. In queste fotografie non cerca il riscatto di frazioni di spazio attraverso la loro estetizzazione, non c’è volontà di consacrare una nuova bellezza del post-industriale o del marginale, del periferico e del ‘riqualificabile’. Sono queste sue ‘non intenzioni’ a essere convincenti.