Pierluca Cetera

Taranto, 1969
Vive e lavora a Gioia del Colle
Studio visit di Lorenzo Madaro
7 luglio 2024

Pierluca Cetera si è formato all’Accademia di Belle Arti di Bari. La sua attività espositiva è iniziata nel 2000 con mostre personali in spazi privati e pubblici e con progetti collettivi. Tra le personali degli ultimi anni ricordiamo la mostra a Meicheng Gallery a Shenzhen (2018), Gli ospiti, a cura di Francesco Paolo del Re e Sabino De Nichilo a Casa Vuota (Roma, 2017), la mostra a Studio Arte Fedele di Monopoli (2016) e Le cavie, nell’ambito della rassegna Senso Plurimo nel 2009 ai Cantieri Teatrali Koreja di Lecce, a cura di Marinilde Giannandrea. Tra le collettive, Zoo Generation, a cura di Christian Caliandro a Anche Cinema nel 2020.

Il lavoro di Pierluca Cetera si è sempre mosso verso un’esperienza che affonda nelle viscere dell’immagine, nella figurazione di una costellazione di corpi, volti, dettagli anatomici e oggetti dal carattere fortemente simbolico che poi ha ripensato, riconfigurato, stratificato in tutto il suo lavoro. Ma ciò che appare più frequentemente nel suo intero percorso d’artista, ormai più che ventennale, è la radicalità di un lessico che è, prima di ogni altra cosa, esistenzialista.

L’artista ha alternato l’impegno professionale verso la pittura, nel suo studio pugliese, e l’insegnamento, iniziato di recente anche nelle accademie di belle arti. Cetera è sempre stato attratto dallo studio della tecnica, il che non ha mai rappresentato però un inciampo di radice accademica, perché il suo intento è sempre stato quello di sperimentare, per certi versi anche mettere in discussione la tecnica stessa, e per farlo, naturalmente, è dovuto partire da un repertorio di immagini proprio, che chiaramente viene dal cinema e dalla storia della pittura, ma che nei fatti con il tempo si è caratterizzato per un’assoluta autonomia, non soltanto stilistica.

Ossessioni compulsive, disagi, dinamiche relazionali, logoramenti mentali: Pierluca Cetera esplora, nel viaggio che mette a disposizione anche dei nostri sguardi, ciò che è nascosto nelle case, nei tinelli della gente, nelle stanze da letto all’ombra di una civiltà apparentemente sensibile e di un contesto sociale solo fintamente sostenibile.

La pittura di Cetera non è ipocrita. Anzi, appartenendo a quella storia della rappresentazione della verità e delle emozioni dell’animo umano che parte da Giotto, ripercorre i piedi sporchi dei santi di Caravaggio, transita dalle urla dei corpi dipinti da Bacon e arriva alle vagine divaricate di Lucien Freud e alla stratificazione delle carni di Nicola Samorì, la pittura dell’artista pugliese rimane profondamente ancorata alla realtà senza però mai affondare nella narrazione fine a sé stessa. Perciò, anche quando è esplicita e manifesta, la sua ricerca non è mai descrittiva.

Nelle sagome dipinte, che apparentano per certi versi il suo lavoro a quello di un suo conterraneo (Cristiano De Gaetano, suo compagno di percorso venuto a mancare prematuramente), l’artista raggiunge una prima sintesi tra rappresentazione e spazialità, uscendo dai confini della superficie canonica del quadro.

Nasi, labbra, ginocchia, gomiti, seni e genitali appaiono e scompaiono su fondali spesso neri, in una voluta e persistente teatralità, che spesso è adottata anche all’interno delle sue mostre personali.

Credo che il passo successivo di Cetera sarà far diventare questi lavori da forme sagomate dipinte a spazi veri e propri, ambienti attraverso i quali mostrare l’espressività della sua pittura per immagini, che anche quando appaiono esplicite nascondono un sussulto su cui interrogarsi. La sua pratica ha la necessità di liberarsi ulteriormente dai confini predeterminati, ed è ingiustamente un po’ appartata – soprattutto negli ultimi anni – nel dibattito attuale sulla pittura italiana (pensiamo, ad esempio alla sua assenza dalla mostra Pittura italiana oggi in Triennale a Milano quest’anno), forse anche per una sua persistente attività all’interno dei confini regionali, oppure proprio perché il suo lavoro merita una visibilità più stimolante. Il punto di forza di Cetera stia invece nella sua incessante, forse anche estenuante, ricerca. Sarebbe auspicabile quindi portarla ancora più avanti, provando ulteriori soluzioni, adottando possibilmente una dialettica forte tra bidimensionalità della pelle della pittura e tridimensionalità della materia dei supporti, per generare qualcosa di più avvolgente e meno rigido: forme da collocare con ulteriore libertà nello spazio, ulteriori spazi da aprire ancor di più al gioco dello sguardo, che poi è lo stesso gioco argutamente voyeurista che un artista come Cetera saprà, certamente, sostenere ancora.