Paolo Angelosanto

Saint Denis (Francia) 1972
Vive e lavora a Graffignano (VT)
Studio visit di Davide Lunerti
20 giugno 2024

Paolo Angelosanto è un artista con una produzione attiva da oltre trent’anni. Durante gli studi in Pittura e Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Roma, ha iniziato la sua pratica a partire da riproduzioni pittoriche di sculture classiche a cui apponeva scritte di testi poetici, per poi presentare nel 1998 la sua prima performance, Anna dai capelli rossi, curata da Paola Magni. Sue mostre personali e performance sono state presentate alla Galleria PS122 di New York (ARTWURL project 3, a cura di Carlos Motta), con Zō Centro Culture Contemporanee a Catania, (Welcome), all’Ex convento Santa Maria di Gonzaga (Mani di fata, a cura di Aldo Grazzi e Luca Massimo Barbero).

Il suo lavoro prevede prevalentemente interventi performativi, con un’attenzione particolare alla restituzione estetica; ma i suoi lavori spaziano tra e coinvolgono pittura, scultura, fotografia, disegno, ready-made e installazioni, declinandosi a seconda dell’idea o impressione da cui origina l’opera. In molti dei suoi progetti, Angelosanto affronta temi di carattere politico con una forte connotazione personale e un’apparente leggerezza ironica, come avviene in altri artisti italiani della sua generazione. Un esempio sono i lavori che ha realizzato con alcune citazioni significative scritte su carta da parati dalla fantasia del broccato, cucita insieme dall’artista, in un riferimento parodistico agli ambienti opulenti della nobiltà e della borghesia. Il progetto nasce da una frase che l’artista ha sentito in una cena con politici siciliani, “la mafia non esiste”. Da questa prende avvio una serie di lavori, sempre con frasi che contengono un’ambiguità di fondo e che registrano gli attriti politici della contemporaneità, come “chi ha ucciso Pasolini” o “affinché tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, celebre frase dal Gattopardo di Tomasi da Lampedusa, ripresa qui in una critica alla condizione di stagnamento della classe borghese.

A contraddistinguere la sua pratica è una curata semplicità scenica, che riesce sia a rimarcare l’intento ironico e autoironico della sua poetica sia a contribuire all’efficacia espressiva. Come già detto, la maggior parte dei suoi lavori affronta temi di rilevanza sociale, tra i quali l’emergenza ecologica, le questioni di genere, l’immigrazione, e più in generale la marginalizzazione sociale. Per la mostra I fiori del mare (2015), l’artista ha realizzato pitture di eleganti elementi floreali, riproduzioni degli esemplari della Nascita di Venere, per realizzare un ambiente che evocasse una sensazione di rilassatezza; gli stessi fiori che decoravano le pareti della Galleria Miralli percorrevano anche la superficie di una camera d’aria, simulando un ambiente balneare, con una piacevolezza estetica dietro cui si celava un inquietante riferimento, disturbante nella sua pacatezza, all’orrore delle morti in mare dei migranti. Altri lavori, invece, sono stati dedicati al tema dell’amore, come “M’ama non m’ama” (2005), in cui una serie di amici dell’artista esegue il rito dell’esfoliazione dei petali delle margherite, culturalmente diffuso in tutto il mondo, in una molteplicità di formule di diverse lingue; Je me souviens (2010), in cui si lega una pesante scultura in cemento alla caviglia, dalla forma di un cuore, e con la quale si aggira per la città del Quebec; o ancora Per amore, solo per amore (2012), in cui in un atto performativo l’artista disegna con movimenti circolari del braccio un cuore formato da cerchi concentrici; uno di questi lavori, racchiuso in una cornice di 100 kg, è oggetto di una successiva performance, dal titolo Sorreggere l’amore, in cui l’artista ha sostenuto la pesante cornice con il proprio corpo per tutta la durata dell’inaugurazione.

Le numerose esperienze di residenza (che hanno avuto luogo in Italia, Spagna, Canada, Finlandia) sono state fondamentali per l’evoluzione del percorso artistico di Angelosanto. Quella che ricorda come più importante è stata quella alla Fondazione Bevilacqua La Masa nel 1999, la prima residenza della Fondazione, in cui ha realizzato una performance con costumi realizzati da lui, Venezia Souvenir (2001). In quegli anni aveva luogo un dibattito acceso a Venezia, sull’eventualità di estendere alle donne la possibilità di acquisire il brevetto da gondoliere, diritto che le donne hanno ottenuto solo da qualche anno. Per la performance, l’artista si è “vestito” da gondoliere, disegnandosi sull’addome nudo con un rossetto rosso la tradizionale maglietta a righe, per mettersi poi a cucinare della pasta. L’operazione, seppur connotata da una leggerezza umoristica, verteva sia a polemizzare la posizione patriarcale del provvedimento citato, sia l’immaginario del turista straniero nei confronti del cittadino veneto. Come si evince da questi esempi, spesso l’obiettivo dell’artista diventa quello di combattere degli stereotipi o pregiudizi sociali attraverso la propria nudità, il proprio vissuto personale, contrastando una visione sociale generalizzante e miope con spaccati di vita direttamente in contraddizione.

Attualmente l’artista sta lavorando a due diverse performance, legate rispettivamente al ricordo di sua madre e di suo padre. Tagliare il paesaggio, la sua serie più recente, è dedicata invece al recupero di arazzi industriali risalenti dalla fine dell’Ottocento a metà Novecento, abbandonati o considerati di scarso valore, che hanno come soggetto paesaggi bucolici. Con l’uso di un nastro l’artista recide il paesaggio, inquadrandone una singola parte per concentrare l’attenzione su di essa; vorrebbe iniziare un lavoro simile anche a livello fotografico, con paesaggi fotografati delle piazze più importanti d’Italia, e sostituire i riquadri “tagliati” attraverso il nastro con quelli tratti da immagini di altre piazze.

All’apparenza, la semplicità narrativa con cui l’artista approccia temi sociali variegati e complessi potrebbe rischiare di essere considerata dallo spettatore come una modalità superficiale, inadatta ad esprimere i lati tragici e gli aspetti intersezionali di determinati argomenti.

Ma è invece proprio questa semplicità scenica il mezzo attraverso il quale l’artista ottiene la forza estetica ed emotiva della sua opera, connaturando a temi critici elementi del quotidiano, riuscendo a contrastare l’ineccepibilità di questioni di portata globale con una visione localizzata, unica e personale.