Matilde Sambo

Venezia 1993
Vive e lavora a Venezia
Studio visit di Stefano Coletto
9 gennaio 2024

«Conosci Matilde Sambo?», chiedo a Mario Ciaramitaro, curatore e spesso assistente dei docenti nel dipartimento di Arte e Moda allo Iuav, dove Matilde conseguì il diploma triennale.

«Sì, mi ricordo bene di lei, propose un bellissimo lavoro al corso di Luca Trevisani, nel 2016». Matilde parte da qui, raccontandomi di quella installazione e performance; l’azione consisteva nell’avvicinare due materassi a un corpo posizionato al centro, fino a ridurre lo spazio vitale e quindi percettivo della persona coinvolta che, superata la paura del soffocamento, raggiungeva un livello minimo percettivo, quasi d’ascolto del respiro e del cuore.

Matilde si fa conoscere rapidamente per la sua produzione video, la sensibilità al suono, l’attenzione per il corpo umano e animale prigioniero in uno spazio non proprio, vivo come dietro al vetro artificiale di un acquario (il video Fairy Cage). Vivace intellettualmente e determinata ─ nonché figlia d’arte, con un padre artista e musicista di rilievo ─ suona la chitarra e poi sperimenta con sintetizzatori, field recording, voci, sulla scia di importanti tracce di una avanguardia colta.

Parliamo di amicizie, incontri, relazioni, delle difficoltà della ricezione e del mercato per chi lavora con il video; citiamo alcuni artisti che lavorano con il video. Valentina Furian, che ha conosciuto allo Iuav, Diego Marcon, Giulio Squillacciotti; Da Venezia a Milano, dove rimane per cinque anni intensi, alternando residenze a progetti artistici, ricerca e collaborazioni nell’ambito della comunicazione. Tra le collaborazioni, il contributo alle riprese con Alessandra Galletta per il bellissimo documentario su Ettore Spalletti del 2019; il supporto in editing, suono e camera per produzioni del Castello di Rivoli: New Scenario di Rahraw Omarzad (2023), Odorate ginestre e la produzione del lavoro di Uyra Sodoma per la mostra Espressioni.

Nel 2018 il lavoro Monitors and Materials, esposto al termine della residenza a Viafarini: il video di un corpo durante un massaggio shiatsu, cui sono associati lacerti, oggetti, resti ─ quali un riccio ─ dal messaggio simbolico. Il lavoro nasce dal desiderio di uscire dall’immagine elettrica/digitale per materializzare il sensibile. Un passaggio complesso, originale ma difficile, se l’obiettivo è tenere insieme video, scultura, performance, suono. Se il lavoro di Viafarini sembra non compiersi, dove si coinvolge la Storia, l’archeologia, tutto si apre, come in Vita come saliente avidità (2020 – in corso), un progetto creato con la preziosa organizzazione della Fonderia artistica Battaglia e Wide Group ; armi, fusioni in bronzo, lacerti di corpi e gesti che lasciano segni e affondano nella materia. Negli ultimi due anni, le importanti personali all’Associazione Barriera a Torino, nel 2022, e la recentissima Dormiveglia – Fulgur, presso AA29 Art Project, Milano (2023): «Dormiveglia è lo stato in cui il corpo inizia a calmarsi ma è ancora ricettivo agli stimoli esterni che continua a trasmettere alla mente. Un limbo tra veglia e sonno che genera figure e sensazioni che appartengono a entrambi i ‘regni’». Sambo mi racconta delle letture di Wilfred Bion, psicoanalista britannico, e delle sue ricerche sui temi del sogno, dello strutturarsi del pensiero. Nella mostra di Torino si colgono archetipi, si dipanano pensieri tra frammenti di corpi, partendo da un tessuto con frasi ricamate che fanno vagare la mente. La mente che vaga, il titolo di un libro in cui si parla del sogno come simulazione di eventi minacciosi per preparaci alla vita reale: memoria del Pleistocene! Con Fulgur torna l’idea di una percezione primaria del corpo «ti dono dei tappi per le orecchie, prova a vedere senza sentire… o sentire mentre tutto il visivo si silenzia»; la luce sugli oggetti è intermittente, come lampi di coscienza.

Adesso Sambo sta lavorando al terzo capitolo di Dormiveglia. In quest’epoca post-fotografica e bulimica di registrazioni e manipolazioni video, la sua ricerca sembra aprire una strada; come se esistesse un modo di percepire il mondo prefilmico, soglia del visibile, un ‘quasi vuoto’ installativo: con Federico Ferrari potremmo dire «l’insieme vuoto dell’immagine». I frammenti scultorei diventano versi di un componimento instabile, in continue connessioni possibili, come gli esoscheletri e la metamorfosi delle cicale che sentiamo frinire prima di vederle (De Rerum Natura, 2022).

I testi, le parole (tante… a volte troppe?) ci portano lontano, come nella recente pubblicazione d’artista Flussi, presentata con una performance live a Roma allo Spazio Giallo.

Ascoltate quest’onda sonora in rete, in un passaggio una voce suggerisce: «essere disposti a perdere pezzi per cambiare forma, per evolversi». Ci porta lontano; aspettiamoci nuove sorprese.