Martina Rota

Bergamo 1995
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Edoardo De Cobelli

Conosco Martina Rota tramite il suo corpo. Il suo movimento, spesso lento, attento, sia nelle performance che nelle prove, è magnetico come può esserlo quello di un pendolo, protratto e regolare. Ci si trova a osservarlo e a capire cosa di esso affascina. Quasi mi stupisco quando incontro un altro medium, come Sinceramente (2020), stampa su vetro, nel suo studio. Ma è ancora corpo, il dettaglio di un piede e infatti l’uso delle immagini, così come quello della scultura o pittura, segue per Martina lo stesso principio delle performance: risponde a un’esigenza, una necessità immanente poi resa visibile senza mediazione. Questa esigenza di cui parla, quando racconta la sua ricerca, è in parte ciò che si può definire inspirazione, unita alla necessità per l’artista di tradurla attraverso i suoi strumenti. Si tratta però più, nel suo caso, «di rimanere ricettivi per cogliere epifanie, così come si presentano nella mente, e restituirle il più fedelmente possibile». La ricerca di Martina Rota spazia dalla visualizzazione in immagini alla danza performativa, fino alla coreografia. La sua pratica combina i mezzi espressivi senza alcuna gerarchia, un’ibridazione che si estende alla poesia e allo studio dei movimenti sportivi. La coreografia, d’altronde, è l’incontro tra l’immagine e il movimento. Ma questa percepita esigenza è forse altro ancora. Il movimento asseconda il suo desiderio, l’istinto di strusciare, cantare e toccare, con un’immediatezza che lo rende semplice e naturale. È una sessualità non pornografica quella che emerge, il bisogno di raccontare attraverso il movimento il fatto di esistere e desiderare perché corpo. Quello che si trova, nella sua presenza performativa, è la consistenza dell’immediatezza, la verità insita nella volontà di mediare il meno possibile istinto e reazione. L’espressione del movimento si manifesta spesso, inoltre, attraverso la relazione tra più persone, come in Don’t Fuck with My Hunger o in Sur la vie de l’eau, criez! In questi casi Rota è coreografa e mette in scena rapporti possibili tra corpi, oltre che l’ascolto del proprio.

Un progetto che l’artista sta sviluppando in questo periodo, attraverso la pratica corporea, è orientato a indagare le varie modalità in cui si può raggiungere un orgasmo. È «una mappatura corporea, sulla pelle, ma anche uno strumento politico di rivendicazione personale e collettiva». A fianco, porta avanti una collezione di pensieri, nella forma della poesia e del diario, tra scritti e pizzini, riflessioni che troveranno spazio più avanti. Nonostante Milano sia stata una città propulsiva per Rota, che ha solo da poco concluso il suo percorso all’Accademia di Brera, lo sviluppo della sua ricerca deve proseguire non tanto attraverso una migliore conoscenza di sé stessa, processo che continuerà per tutta l’esistenza, quanto piuttosto attraverso il confronto con l’altro. Nuove persone e realtà, magari attraverso alcune residenze all’estero, sono probabilmente il necessario soggetto di dialogo di cui l’artista ha in questo momento bisogno. Un’artista, peraltro, consapevole di ciò che vuole dire e della maniera, già affrancata da limiti e condizionamenti, con cui esprimersi e che proprio per questo troverebbe in una diversa scena artistica e culturale il miglior terreno di crescita e di sperimentazione.