Marina Viola Cavadini

Milano 1988
Vive e lavora a Milano e a Chicago
Studio visit di Edoardo De Cobelli
11 maggio 2024

L’era digitale si caratterizza per una indubitabile mancanza, rispetto al passato, di presenza corporea nella nostra esistenza quotidiana ma, allo stesso tempo, anche di nuove affinità e relazioni. Per esempio, Manifesta 12, a Palermo, è stata una delle prime occasioni in Italia in cui si sia visto un artista, Zheng Bo, performare l’attrazione verso il mondo vegetale, nell’opera Pteridophilia. Nuove forme di intimità e attenzione verso la natura, che aprono le porte a indagini al bivio tra riflessioni post-naturali e studi transfemministi, sono anche nello spettro della ricerca di Marina Viola Cavadini che, come scrive Elisa Carollo nel precedente studio visit, si interessa di botanica fin da subito e ha avuto occasione di esporre in orti e progetti botanici, da Hot House di Giovanna Repetto a Torino a Meeting Gardens del collettivo Ife.

La sua ricerca coinvolge gli aspetti più sensoriali della percezione veicolata dall’opera e dalla visione tattile che una performance o un video possano scatenare. Gli stessi titoli evocano un richiamo ai sensi e un richiamo di natura corporea o erotica: Eat Me, l’ultima personale a Brescia, o l’opera neon WET, sono due esempi. La scelta dei termini riflette un meccanismo presente in natura che si chiama aposematismo: una logica strategica che usa l’impatto di un colore o, in questo caso, di una parola per determinare un effetto su chi la vede. Cavadini declina questa strategia avvicinandosi alle neuroscienze ma dopo aver catturato l’attenzione dello spettatore lo porta nella dimensione sensibile dell’opera. I video avvolgono con immagini o rumori delicati e magnetici allo stesso tempo. Una larva che si dimena in cerca di un approdo su uno stagno d’acqua calato in una pace assoluta, o un riccio che per mezz’ora si sposta generando suoni intraducibili. I suoni mi fanno pensare a quella fascia sonora di rumori in grado di rilassare la materia celebrale in maniera subconscia. Si entra, infatti, nel mondo ASMR, il fenomeno che fa corrispondere a una determinata gamma di immagini e suoni la produzione di endorfine e sensazioni di piacere o rilassamento.

La botanica è, nella ricerca di Cavadini, una porta d’ingresso per giungere a toccare temi relativi alla vulnerabilità e all’intimità del corpo, spesso censurati tanto nell’arte quanto nella società. Il neon Wet, di colore rosso, evoca il rosso del sangue delle mestruazioni. Fino solo a qualche anno fa, dice l’artista, nelle pubblicità televisive il sangue era rappresentato con il colore blu, pur di mimetizzarlo.

Da poco tornata da due settimane di residenza nella campagna al confine tra Liguria ed Emilia, la Lunigiana, organizzate dal collettivo Provinciale 11 e aventi come tema il suolo, ha lavorato con le piante locali, l’umidità del luogo. In questo caso, il fenomeno naturale a cui si ispira è la guttazione: quando è presente troppa umidità esterna, come spesso capita in Lunigiana, le piante trasudano acqua dalle foglie, solitamente dalle estremità.

Lavorare su un piano percettivo, di sensazioni delicate e sottili, come fa Marina Cavadini fin da prima della bellissima performance Les doigts en fleur, è complicato, in un mondo sovraccarico di stimoli visivi e sensazioni forti. Questo aspetto rischia di sparire, di essere ricoperto dal frastuono del mondo.

La sua ricerca sembra quasi, involontariamente, rieducare la capacità dell’osservatore a fermarsi ad ascoltare i dettagli. Il senso di scoperta e, a volte, la surrealtà della visione di alcune rappresentazioni aiutano in questo esercizio dell’attenzione e rappresentano tra gli elementi più forti della sua creatività.

Foto di Alberto Petrò
Foto di Francesca Rossi