Luca Vitone

Genova 1964
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Francesca Guerisoli
15 maggio 2024

Ha appena riaperto come studio quella che, anni fa, era la sede della Galleria Emi Fontana. Tra gli stabili e i cortili in fase di ristrutturazione del complesso di viale Bligny 42, lo studio di Luca Vitone è ancora spoglio, presenta allestito nella prima sala solo un lavoro, che fa parte dei monocromi realizzati con le polveri. Figlio del poeta visivo Rodolfo Vitone, fondatore della rivista «Marcatre», cita tra i suoi maestri Piero Manzoni, Giulio Paolini, Giovanni Anselmo, Emilio Prini. Ha realizzato la sua prima personale nel 1988 alla Galleria Pinta di Genova e poco dopo si è trasferito a Milano, dove vive ancora oggi, con lunghi intervalli tra Colonia e New York.

Il lavoro di Luca Vitone impiega diversi materiali, generalmente non comuni nella produzione artistica. Gli interessa indagare modi di fare che non seguano la convenzionalità del linguaggio artistico. Quando ha pensato di fare quadri, ha scelto di avvalersi di quegli elementi antipittorici per eccellenza, quali polvere, agenti atmosferici, ceneri. Per la serie delle “polveri” impiega dunque tutti quegli elementi controproducenti per la pittura rendendoli pigmenti, che in realtà sono dei “non pigmenti” o “anti pigmenti”. L’anticonvenzionalità era già chiara all’inizio del suo percorso, quando lavorava sulla cartografia impiegando fotocopie ed esponendole su finestre e pavimenti. Esemplare è anche la modellazione di sculture tramite l’odore: la serie delle “sculture olfattive” – di cui fanno parte Per l’eternità, 2013 e A Tale of Forked Tongues, 2018-2022 – consiste nel dare forma concreta all’invisibile, che acquisisce una propria dimensione nello spazio.

I temi del nostro vivere, in particolare l’indagine dei luoghi, sono gli argomenti al centro della ricerca di Vitone, che si confronta con le eterne domande esistenziali, “chi siamo, da dove veniamo e dove andremo”, o con il dissolvimento del luogo delle nostre origini. Da Galleria Pinta presentò la planimetria della galleria in scala 1:1, fotocopiata, giocando sull’idea che si possa entrare in un luogo senza viverlo realmente perché frutto di una duplicazione. Le Carte atopiche (1988-1992), carte geografiche a cui ha sottratto i toponimi, diventano paesaggi irriconoscibili a causa della sottrazione dell’elemento culturale. Il lavoro di Vitone è significativo per la capacità di riflettere sia sulla non convenzionalità dell’arte sia su temi relativi al nostro esistere. Per l’eternità, la scultura olfattiva che impiega tre note di rabarbaro per richiamare le polveri di Eternit, presentata nel Padiglione Italia alla Biennale di Venezia del 2013, è emblematica per la sua capacità di sintetizzare questi due livelli: genera un cortocircuito sensoriale ed emotivo attivando olfatto, memoria e immaginazione in una biennale d’arte visiva in cui non si mostra alla vista.

Attualmente, Luca Vitone porta avanti il lavoro sull’idea di monocromo utilizzando le polveri come anti pigmenti o non pigmenti, e sull’interpretazione della pittura per riflettere sulla situazione di fragile declino della storia occidentale europea. Parallelamente, continua l’indagine sul potere e sul funzionamento del comportamento umano attraverso elementi che riguardano il margine, di cui il film Romanistan, progetto vincitore dell’Italian Council nel 2018 dedicato alla cultura romani, è tra gli ultimi lavori. Un nuovo viaggio, anch’esso giocato sull’analisi tra noi e l’autorità che interpretiamo o che subiamo, è al centro di un nuovo progetto ora in fase di definizione.

L’impiego, nelle proprie opere, dei materiali più diversi comporta che alcune siano soggette a un deperimento più rapido. Le carte utilizzate, ad esempio, sono spesso ingiallite. Le tele dipinte con gli agenti atmosferici non sono stabili e continuano a cambiare nel tempo. Questo elemento può essere visto come un punto critico del lavoro di Vitone, così come l’inafferrabilità e la difficoltà di vendita di pezzi basati sull’odore. Tuttavia, se si intende fare un certo tipo di arte, va accettata l’azione del tempo; nella sperimentazione di mezzi e linguaggi, questi elementi di criticità possono essere al tempo stesso punti di forza della ricerca artistica e, pertanto, non costituiscono un problema né per Vitone né per la critica.