Jacopo Rinaldi

Roma 1988
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Alessandra Troncone
9 febbraio 2024

La pratica di Jacopo Rinaldi mostra stimolanti spunti per una riflessione sul nostro rapporto con gli archivi e la documentazione di storie tratte da un passato non pienamente raccontato. Il precedente studio visit, realizzato da Marco trulli, ha messo in luce la sua attitudine da ricercatore, nonché l’interesse per il medium fotografico di cui viene sottolineata l’ambiguità, pur nella sua presunta oggettività. Tali aspetti costituiscono il motivo di approfondimento dell’opera di quest’artista. Questo secondo incontro segue di pochi mesi l’insediamento di Rinaldi in un nuovo studio condiviso con altri artisti a Roma, in zona Furio Camillo. Al lavoro in studio, finalizzato alla produzione individuale, si accompagna la recente collaborazione con il team dello spazio indipendente Lateral.

La centralità del documento nelle opere di Rinaldi fa sì che queste possano essere avvicinate a quel filone della ricerca artistica contemporanea che guarda agli archivi come luoghi da scandagliare per ribaltare narrazioni considerate ‘ufficiali’ e che ha trovato un primo impulso all’inizio del XXI secolo a livello nazionale e internazionale. Tuttavia, l’approccio di Rinaldi non guarda all’archivio in quanto ‘sistema’ ma, piuttosto, in quanto dispositivo, come si evince da uno dei suoi primi progetti sull’archivio di Harald Szeemann, riletto non attraverso i documenti bensì attraverso la sua ‘architettura’. Nello specifico, nei suoi lavori più recenti l’attenzione si concentra non su archivi veri e propri, ma su singoli elementi che rimandano più genericamente al concetto di archiviazione e memoria, punti di partenza per costruire nuove reti e narrazioni. È il caso di iio sono un disgraziato il mio destino è di morir in prigione strangolato (2020), che riesuma fotografie scattate dall’anarchico Bresci e che nel 2023 è stato presentato a Palazzo Braschi per il ciclo di mostre Portfolio della Quadriennale di Roma.

Il processo di riattivazione dei documenti storici costituisce un valido elemento di interesse in un momento in cui è pressante la necessità di interrogarsi su cosa sia rimasto nelle pieghe di racconti considerati chiusi e immutabili. Per l’artista si tratta di «incontrare la storia giusta», come nel caso della fabbrica Benigno Marcora di Olgiate, al centro del progetto Un film può diventare un pettine, commissionato dal museo MAGA di Gallarate e realizzato con studenti del liceo artistico di Busto Arsizio nel 2021. Partendo dall’azione di riciclaggio di celluloide, con conseguente distruzione di innumerevoli bobine di film compiuta dalla fabbrica nei suoi anni di attività, Rinaldi ha riletto con gli studenti il cortometraggio di Luigi Comencini Il museo dei sogni (1950) per poi creare con loro un’opera di videoanimazione. In questo caso specifico, l’aspetto relazionale contribuisce a rendere ancor più complesso e collettivo il processo di interpretazione dei dati raccolti.

In questo momento l’artista sta lavorando a una nuova serie di disegni, con l’obiettivo di mettere ulteriormente a fuoco il rapporto tra fotografia, video e disegno già presente negli ultimi lavori. Tale serie si configura come un’espansione del video Marlboro realizzato del 2022, rielaborazione di una lunga intervista del 1978 al regista Rainer Werner Fassbinder per la televisione pubblica tedesca, che si concentra sui movimenti delle sigarette fumate dall’intervistato. Il disegno rappresenta, in questo caso, una trasposizione simbolica degli oggetti che compaiono nel video, ma il dialogo tra i due media non è, a questa data, ancora pienamente risolto sul piano allestitivo. È inoltre in programma la presentazione del video Senza titolo del 2023 presso il MUFOCO – Museo di Fotografia Contemporanea a Cinisello Balsamo, che lo ha recentemente acquisito.

Come già evidenziato nel precedente studio visit, le opere di Rinaldi si basano su raffinate intuizioni che spesso spostano il baricentro sul piano cerebrale, necessitando di un ulteriore racconto che può inficiare la capacità dell’opera di avere una presa diretta sul pubblico. L’attenzione all’intersecarsi di linguaggi diversi, che propone in alcuni casi un approccio metalinguistico al medium scelto, rappresenta un campo di esplorazione utile a guardare la stessa dimensione dell’archivio con uno sguardo laterale che non ha velleità scientifiche ma, al contrario, ambisce ad aprire derive immaginifiche.

Foto di Carlo Romano