Jacopo Naccarato

Castiglion Fiorentino 1995
Vive e lavora ad Arezzo
Studio visit di Angel Moya Garcia
19 gennaio 2024

Diplomato in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna con Luca Bertolo nel 2018 e nel 2021 in Pittura e Arti visive con Luca Caccioni, Naccarato è stato cofondatore dello spazio Sottofondo ad Arezzo e, contestualmente, assistente di Giulia Cenci. Nella sua ricerca prova a muovere dubbi e a ribaltare certezze, interessandosi alla figura dell’individuo in quanto unico, differente e sbagliato, indagandone le storture e il carattere identitario.

Nel lavoro dell’artista la pittura detiene un ruolo privilegiato anche se la scultura e l’installazione sembrano essere sempre più presenti, tuttavia con una visione compositiva, formale e metodologica strettamente pittorica. Mosso da una pratica quotidiana del fare e da un legame concreto con il lavoro, le sue opere evocano ambienti intimi e mnemonici, figure vicine all’uomo e ai prodotti del suo ingegno. L’individuo si pone, in questo modo, come fulcro di qualsiasi ulteriore declinazione. Sicuramente, l’esperienza con Giulia Cenci ha spinto certe formalizzazioni o certi interessi che già iniziavano a emergere e ha potenziato un riconoscimento della professionalità della figura dell’artista che finora era ancora solo imbastita. In questo senso sintomatiche sembrano le figure appena abbozzate che emergono alla superficie solo in parte, le sembianze organiche e realizzate con materiali apparentemente mutabili e provvisori o la presenza del cane, che compare spesso nei suoi lavori, come un possibile alter ego per indagare, per riflesso e come pretesto, la propria identità.

Risulta suggestivo notare come la maggior parte degli artisti della sua generazione si stia muovendo su un territorio molto legato a forme e, soprattutto, a contenuti relativi alle teorie postumane, seppur svincolandosi dalle teorie e, spesso e volentieri, senza nemmeno conoscere gli autori che le hanno descritte o gli artisti che precedentemente hanno insistito su queste pratiche. In questo senso, emerge come i contenuti di queste teorie siano assorbiti non come postulati teorici, bensì come urgenze viscerali e condivise. In questo contesto, il lavoro di Naccarato si somma all’ondata di necessità collettive legate a una generazione, anche se peculiare è il fatto che a lui non interessino gli aspetti concettuali, le istanze politiche o sociali o le intenzioni che lo circondano, nonostante i lavori si staglino su un panorama formale molto vicino.

Di recente ha esposto nella mostra collettiva Lingua morta, con Alessandro Costanzo, Francesco Pacelli, Bernardo Tirabosco, con la cura di Davide Silvioli, nello spazio Divario a Roma; una riflessione sui modi di adattamento al divenire incessante della contemporaneità, presentando i lavori It Hurts so Good (the Upsetter), The Lookout (fallito) e Corpo randagio (tentativo d’abbandono).

L’aspetto che trovo più complicato nel suo lavoro durante lo studio visit è, da un lato, la vicinanza formale con tanti artisti della sua generazione e, dall’altra, il rischio personale di non riconoscere, di non intuire o di non cogliere fino in fondo il limite tra la genuinità della sua ricerca e il panorama artistico circostante appena accennato. Il suo percorso è talmente poliedrico e multiforme da rischiare la contaminazione di corrispondenze e simmetrie con tendenze che in questo momento funzionano a livello di mercato. Un rischio che naturalmente emerge in tutti gli artisti più giovani, ma che negli ultimi anni sta diventando prepotente in quanto la corsa alla galleria, al collezionista o al curatore spesso supera la congruità di una ricerca a lungo termine.

Bisogna però evidenziare la spontaneità della narrazione, l’istintività dell’azione e l’indifferenza rispetto ai parametri che vengono richiesti nell’attualità. I lavori riguardano gli stati d’animo e il rapporto istintivo con i materiali che incontra, le proprie esperienze e le proprie urgenze, come modalità di esorcizzare le paure, come possibilità di sfogare le inquietudini o di allontanare i timori, ignorando le mode, le eventuali ipocrisie di doversi sentire dentro urgenze che non gli appartengono o il rischio di inseguire talune dinamiche, concetti o teorie. Le domande, i dubbi o gli interrogativi che apre stimolano lo spettatore ad assecondarli con il proprio pensiero per rispondere autonomamente in funzione delle proprie condizioni.