Giovanni Longo

Locri 1985
Vive e lavora a Roma e a Locri
Studio visit di Marcello Francolini

Per analizzare la ricerca artistica di Giovanni Longo bisogna entrare nel magazzino dei suoi oggetti semantici, che sembra coincidere con il limite geografico di Locri, sotto lo sguardo vigile di Mannella e Abadessa, i colli da cui cade, sotto l’arsura calabra, tutto ciò che ha la briga di galleggiare tra le fiumare occasionali di una natura dominante. Ma se ammettiamo fenomenologicamente, che l’immagine è un modo di proiettare la nostra esperienza sull’impulso esterno, è chiaro che Locri è direttamente proporzionale, nel lavoro di Longo, a Roma, giacché ciò che si fruisce nel presente sociale del tessuto urbano viene combinato nell’occasionalità dei residui espansi della campagna. E così, al limite del dilemma italiano tra strapaese e stracittà, Longo opera come un guaritore nel tentativo di colmare uno spazio sempre più vacuo entro cui l’essere del XXI secolo perde sempre più, nella sua iper-razionalità, la capacità di meravigliarsi dinnanzi alla caotica natura frattale. Quella magica attività che è l’analogia, capace di farci rivedere le cose in altre cose, com’è d’altro canto in Morph (2022) che appunto richiamandosi al morphing cinematografico allude a quella capacità di trasformazione liquida e graduale tra due immagini. La capacità di flettere il materiale povero, diventa occasione per proiettare così forme in altre forme, com’è per una schiena flessa a partire da qualcosa nel tipo di legno che rimanda alla colonna vertebrale, ma la stessa capacità di flessione è l’arco, una tra le prime forme architettoniche desunte dalle curvature di rocce o altri organici, e così via in un’espansione continua di senso a partire dal medesimo materiale che così estratto diviene puro segno. Ed è così per tutta la serie Seamless che, da reminiscenze anatomiche ricostruisce uno spazio archetipale. A questo punto della ricerca, potendo avere sottocchio i lavori precedenti, Longo sembra aver ormai fatto esperienza della forma analogica per entrare in un territorio completamente simbolico, dove la ricerca della forma finale ascende verso concetti più universali, iniziando così a scoprire territori estetici meno desueti è più originali. Prendiamo, ad esempio, un’altra delle Seamless, Collapse (2022), potendola confrontare con These Are Not My Legs (Goat) (2016), un’opera precedente della serie Fragile Skeletons, notiamo come la simil-gabbia toracica nel gioco di analogia zoomorfica del 2016 diviene una forma vibratile astratta nel 2022. Forse, la stessa vibrazione della foglia alla pressione del vento? Così vorrei meglio intendere, ché partito da un processo di semplice analogia trasformativa, Longo sta giungendo a un processo di astrazione della forma. Una complessità riscontrabile anche nell’utilizzo congiunto di più materiali naturali-artificiali, la cui vibrazione tattile e materica espande ancor di più l’opera, prima tenuta più vincolata a una monocromia organica. Eppure, niente ha illuminato la mia visita più di una parola datami da Longo durante la conversazione: evasione-del-materiale. Come se una certa estetica fosse ancorata all’emigrazione, se fosse contenuta come controprova di quell’abbandono delle proprie terre, che tra coloro che sono migrati e divenuti artisti si manifestasse quasi come una contingenza necessaria. Quella terra povera diventa arte povera, nel senso che lo scarto residuale si illumina sotto nuova luce, trasformandosi in nuova materia concettualmente manipolabile. In questa prospettiva si potrebbe rivedere il materiale-Locri, alla luce di quel materiale-Borgofranco di Ivrea, materiale-Garessio, materiale-Bari, materiali-Biella, e non certo per una netta corrispondenza agli Anselmo, Penone, Pascali, Zorio, quanto più a questa capacità di proiettare dal proprio immaginario mnemonico forme ricondensate dalle proprietà energetico-organico-materico della propria terra, da intendersi come unico punto ancorabile in un continuo fluire informazionale. Sotto l’egida di questa evasione-del-materiale, la ricerca di Longo appare coerente con tante altre ricerche di artisti comparsi in questa mappatura che il progetto Panorama porta avanti nell’ultimo biennio, dove ancora una volta il nomadismo culturale sembra di contraltare, produrre negli artisti, una resistenza glocale.