Francesca Romana Pinzari

Perth (Australia) 1976
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Nicolas Martino
29 settembre 2023

Francesca Romana Pinzari ha studiato pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma, e ha completato la sua formazione con una residenza alla SVA di New York. Da un iniziale interesse per la pittura figurativa si è poi spostata sempre di più verso la sperimentazione, fino ad arrivare a una produzione che spazia dalla performance al video, dalla scultura all’installazione, ma senza abbandonare del tutto il mezzo pittorico.

La sua ricerca ruota attorno al tema dell’identità, femminile e culturale, insieme a un interesse particolare per la dimensione domestica, intima e accogliente, ma allo stesso tempo spazio di produzione di una violenza spesso subita in silenzio e mai cicatrizzata. Su quest’ultimo tema Pinzari ha tenuto una mostra da Casa vuota nel 2020, significativamente intitolata Casa Spina (a cura di Francesco Paolo del Re e Sabino de Nichilo), che mi sembra possa costruire una tappa particolarmente importante nel suo percorso. Si trattava di una installazione ambientale in cui i resti di una abitazione ormai abbandonata trasmettevano la profondità del vissuto, degli affetti condivisi, ma anche la violenza muta delle convivenze forzate e dell’amore che si tramuta in odio. È stato solo un incidente era una delle opere in mostra – ora in studio – costituita da due sedie rovesciate l’una sull’altra a evocare il dolore di uno scatto di rabbia. Un’opera particolarmente poetica nella sua essenzialità, ma che allo stesso tempo inchioda la nostra attenzione evocando l’irrespirabilità di alcune vite quotidiane consumate dietro le pareti domestiche. In questo senso, particolarmente significative sono anche le sculture realizzate con le posate – potenzialmente armi improprie oltre che utensili – incastonate dentro cristallizzazioni minerali che le rendono sostanzialmente inutilizzabili e quindi ne depotenziano la pericolosità. L’arte così, come processo alchemico che si sviluppa in un tempo lento, ferma la violenza della vita e si contrappone alla velocità di passioni incontrollate, rendendo possibile la cicatrizzazione del trauma.

Nella stessa mostra le cristallizzazioni, o anche le spine – cifre caratteristica del lavoro di Pinzari – erano presenti anche in una serie di quadri comprati al mercatino e che il tempo ha poi trasformato in reperti archeologici del salotto borghese che fu. Potemmo allora dire che la ricerca di questa artista ruota attorno al tema più generale della violenza della civiltà borghese che ci siamo lasciati alle spalle, ed è allo stesso tempo denuncia di quella che ancora adesso innerva le nostre vite e quella delle donne in particolare. Così in Nuda, un’opera del 2014, il niqab musulmano –il velo che copre il capo e il volto delle donne ‒, è realizzato con capelli femminili, richiamando una dimensione del desiderio contraddittoriamente negata e riaffermata. Particolarmente interessanti risultano anche quelle “metamorfosi” più recenti in cui l’artista stessa, con fiori, arbusti e altri materiali naturali, prende le sembianze di quel mondo vegetale che oggi, non a caso, è sempre di più al centro dell’attenzione degli artisti e dei filosofi.

Nel panorama contemporaneo la particolarità di questo lavoro artistico consiste nella scelta dei materiali – capelli, crini di cavallo, spine, cristallizzazioni minerali ‒, che incrociano un’umanità spesso presente solo come ricordo e che, molto probabilmente, è chiamata a ripensare le relazioni con i suoi simili e con il mondo al di là dell’antropocentrismo della cultura occidentale. Non a caso Pinzari, in tutti i suoi lavori, e soprattutto in quelli più recenti, insiste su quella dimensione alchemica caratteristica di una “prima” modernità in cui la rigida divisione gerarchica dei regni che avrebbe caratterizzato i secoli successivi era ancora di là da venire. Quasi una dimensione originaria che oggi potrebbe costituire lo spazio dal quale ripartire. Se qui sta la forza dei lavori di questa artista, forse un limite potrebbe consistere in quella dimensione collettiva del fare mondo che artisticamente esplorata aprirebbe tutta una serie di nuove strade ancora da percorrere.