Eva Frapiccini

Recanati 1978
Vive e lavora a Torino
Studio visit di Stefano Coletto
2 marzo 2024

Il precedente studio visit di Marco Trulli su Eva Frapiccini racconta il lavoro di un artista che mi ha sempre incuriosito: partire dalla fotografia, dalla formazione nell’ambito del fotoreportage, per arrivare a dare voce, letteralmente, ai sogni. Cosa è successo in mezzo? Prendiamo una pubblicazione monografica dedicata al suo lavoro. In copertina, Eva Frapiccini, Dreams Archive, Reader, una raccolta di saggi; quarta di copertina, girando il volume, Eva Frapiccini, Dreams Archive, Research in Practice, ovveroi progetti artistici come ricerche. Ma qual è la vera copertina? Il video-incontro con Eva è un po’ come questa splendida pubblicazione, curata da Cristina Cobianchi, prodotta da AlbumArte e presentata a ottobre 2023 presso lo studio bruno di Venezia, che ne ha curato il design. Cominci a riflettere sull’immaginario contemporaneo e poi ti ritrovi in un progetto-scatola che apre un comodino; chiudi un cassetto e arrivi a interrogare lo spazio pubblico. Ecco, ogni display è un modo di andare incontro allo spettatore che si deve incontrare: girare il libro. Rapidamente percorriamo alcune tappe biografiche: da Recanati, alla vitalità della Bologna colta e sperimentale, alla freddezza di Torino. Qui, con borsa di studio allo IED – Istituto Europeo di Design, Eva elabora il progetto sugli anni di Piombo. Quindi l’avvicinamento come tutor alla Fondazione per la Fotografia a Modena e il dottorato all’estero, a Leeds. E ogni volta i contesti, la costellazione di riferimenti e il ritornare sulla necessità di un rigore nel metodo di analisi dei materiali.

«Venezia ─ mi dice ─, non ho ancora visto la mostra di Joan Fontcuberta a Palazzo Fortuny». Ecco, ti vengono in mente i temi della fotografia dopo la fotografia, di come abitiamo le immagini nell’epoca social. A Brera insegna una visione critica delle immagini. Invita David Horvitz, fotografo, che partendo da riflessioni concettuali interroga mail art, estetica dei meme e del performativo digitale o Elisa Sighicelli, che lavora sullo sguardo tattile. Mi parla di un dialogo con Anri Sala sui lavori dedicati agli anni di Piombo, degli interessi per la memoria e le neuroscienze.

Alludo a un possibile collegamento tra l’archiviazione dei sogni e l’archiviazione dei battiti del cuore di Christian Boltanski. Riflettiamo su questo straordinario artista: l’appropriazione, l’interrogazione della morte, l’archiviazione come costruzione di un reliquario. Eppure, la restituzione del racconto dei sogni, dopo un periodo stabilito contrattualmente, distingue il lavoro di Eva dalla poetica conservazione oltre la Storia di Boltanski. Sono importanti le relazioni «Siamo questa generazione del link».

Così la sua ricerca è sempre tesa a trattenere tempo e memoria lì dove il ‘furore delle immagini’ produce overwhelming per le nostre sinapsi, disumanizzandoci. Alcuni artisti della generazione di Eva lavorano sulle immagini digitali, muovendosi con la flessibilità di un editor ma lei, nei suoi progetti, si sente testimone di qualcosa di più profondo che ci connette, coinvolgendoci. Così le opere e le installazioni si smontano, si inscatolano in modo pratico ed essenziale; gli speaker, le registrazioni, i documenti, una tenda, le cartoline, le opere devono essere accessibili, come fossero il kit di un poeta che bussa alla nostra porta. Usa quindi questo verbo con una sfumatura etica «Traghettare verso qualcuno…». E citiamo il lavoro Il pensiero che non diventa azione avvelena l’anima, sul movimento antimafia degli anni Ottanta e Novanta, oppure, ripenso alle fotografie in piazza Verdi a Bologna nel 2011. Mentre Eva generosamente articola i suoi pensieri, continuo a fissare una piccola immagine dietro di lei, una mano aperta (la sua, mi dice) e un dito, l’anulare, folgorato da una luce che illumina la pelle quasi attraversandola: il dito della creatività, meno curvo di quelli vicini, che simboleggiano l’identità, la razionalità ecc. L’immagine viene dal progetto del 2015 Selecting Memory Selective Amnesia, presentato alla galleria Peola-Simondi. Del 2023 la mostra Forget/Fullness, nella stessa galleria, con immagini stampate da pellicola, ottenute in analogico, che fissano le mutazioni di lame di luce di un muro. L’avventura di un fotografo, scritto da Calvino come documento di partenza per tematizzare il progetto. Visioni periferiche, laterali… Cosa possiamo ancora fotografare se tutto è nel cloud? Cosa ci è concesso di dimenticare?

Certo, la ricerca concettuale e teorica, l’approfondimento culturale sul materiale del proprio lavoro possono diventare un ostacolo, come se si chiedesse all’osservatore di saper guardare e saper leggere con una intensità che può non coincidere con la complementarità della percezione, o più semplicemente con l’intensità di un lavoro. «Sono un’artista di nicchia», mi dice.

Eppure, quando afferma che le piacciono le parti sporche, i resti di ciò che rimane dopo il nostro viaggio negli immaginari più o meno virtuali, avverti che siamo all’interno di un’estetica del presente, da cui non si può prescindere.

Foto di Beppe Giardino