Eugenia Vanni

Siena 1980
Vive e lavora a Siena
Studio visit di Angel Moya Garcia

Poco fuori Siena, in quello che era lo studio del padre e adiacente al casolare in cui vive, troviamo lo spazio in cui lavora quotidianamente Eugenia Vanni. Diplomata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Firenze e successivamente specializzata in Arti visive e Studi curatoriali alla NABA di Milano, è stata visiting artist per il corso di Incisione presso l’Académie Royale des Beaux Arts di Bruxelles. Attualmente insegna Pittura presso la LABA di Firenze e Visual Research per il master in Digital Media Arts e Multimedia Arts presso l’Istituto Marangoni di Firenze, mentre ha fondato con l’artista Francesco Carone il Museo d’inverno a Siena. Il concetto di manualità e il fare artistico alla luce della pratica quotidiana fungono da fil rouge nel suo lavoro. Questi aspetti hanno attraversato varie tecniche come la pittura e l’incisione, che sono i due linguaggi esplorati con maggiore attenzione. La messa in scena del fare pittorico, il quadro come entità fisica e il tentativo di riappropriarsi, e di non dare per scontati, determinati passaggi pittorici, rappresentano le sue principali urgenze. Nella maggior parte della sua produzione più recente, emerge l’interesse sul processo e sullo spazio pittorico, con un approccio di natura concettuale che mette in discussione alcuni elementi del fare pittura e delle tecniche pittoriche. Negli ultimi quadri monocromi, ad esempio, dipinge il bordo per rivelare il fronte. In questo modo, la campitura di colore monocroma, non dipinta ma realizzata grazie alla stoffa industriale già colorata che viene tirata sul telaio, si confonde con il bordo, che è invece dipinto a olio e rappresenta un immaginario lino grezzo sottostante. Questa continuità illusoria consente alla superficie di poter diventare pittorica proprio quando non lo è ed è proprio in quello spazio che si determina l’opera. Si tratta di uno spostamento del baricentro della rappresentazione in cui l’esplorazione dei confini della pittura si afferma attraverso l’inserimento di indizi o tracce che possono portare chi ne fa esperienza a interrogarsi sul fare stesso della pittura. Gli interrogativi sulle tecniche e la trasformazione delle gocciolature o delle ditate sui bordi, che solitamente non sono altro che macchie o schizzi da correggere, diventano veri e propri soggetti dell’opera, ma soprattutto si configurano come desiderio di sfondare la tela e di dilatare lo spazio di azione del quadro seguendo e attualizzando le ricerche sull’estensione della tela del Novecento. In questo modo viene sottolineato come la pittura e le sue tecniche rimangano ancora oggi un campo con tante possibilità aperte, mentre in un momento di confusione sull’immagine e sulla pittura, si tratta di ritrovare il rigore rispetto alla rappresentazione e all’osservazione. Parallelamente alla pittura sta portando avanti una ricerca sull’incisione, in modo specifico sulla matrice trovata o spontanea, realizzando una nuova serie di stampe calcografiche già iniziata nel 2011, in cui utilizza taglieri da cucina appartenuti a persone diverse come matrici. Un momento di condivisione come la preparazione di un pasto diventa testimonianza di frammenti di vita decifrati dall’inchiostro insinuato nei solchi. Il concetto di matrice trovata lo individuiamo inoltre in un’altra serie, realizzata tramite la stampa xilografica, in cui una tavola di legno tarlata diventa formalmente un cielo stellato una volta inchiostrata e passata al torchio, rivelando aspetti invisibili del mondo. Rivelare testimonianze nascoste, lasciare una memoria dell’invisibile e portare l’attenzione verso ciò che generalmente viene ignorato diventa una prassi da veicolare attraverso un processo intellettuale sullo sguardo.

Un processo che potrebbe rimanere fin troppo celato e che emerge in modo non del tutto evidente o leggibile per coloro che non sono specializzati in pittura e in incisione o per coloro che non hanno uno sguardo abbastanza educato. Bucare lo spazio, il fallimento degli stili, interrogarsi su dove sia il limite della tecnica o l’indagine sul confine tra la messa in scena e come questa possa essere dichiarata, rischiano di essere interpretati in modo riduttivo, facendo prevalere una lettura della ricerca come mera finzione.

Le opere però hanno un valore estetico ineccepibile, mentre il livello di ricerca intellettuale si aggiunge come un ulteriore strato di lettura, riuscendo in questo modo a innescare un meccanismo d’indagine sulla pittura, sulle tecniche pittoriche e sul fare manuale del pittore. Bisogna evidenziare infine come anche le didascalie siano un elemento importante per poter decodificare i lavori, dove il titolo solitamente corrisponde alla tecnica e al processo di realizzazione, aprendo così a qualunque suggestione e a qualsiasi possibile interpretazione.