Elisa Laraia

Potenza 1973
Vive e lavora tra Napoli e Potenza
Studio visit di Marcello Francolini
9 giugno 2024

Con le sue attività, conduce una significativa ricerca sul concetto stesso di arte pubblica, intesa non solo in relazione all’occupazione di spazi pubblici, ma in quanto pratica artistica, nell’interesse pubblico e al servizio della comunità”. Questo l’incipit di Alessandra Troncone, che mi ha convinto di passare dal primo studio visit ad un approfondimento sul lavoro dell’artista Elisa Laraia. Un interesse che, partendo dal lavoro specifico che l’artista conduce con il suo LAP (Laboratorio di Arte Pubblica), apre una feconda riflessione rispetto al dibattito critico in Italia, sull’arte pubblica, intesa qui, nella possibilità di sostituire all’evidenza dell’oggetto installazione, l’immanenza relazionale di un processo di narrazione, che in ultimo, si esplica come non-oggetto performativo.

Sotto questa luce potremmo dire che la ricerca di Laraia si connette a quelle produzioni che approcciano l’archivio come modalità di narrazione performativa. Potremmo dire che riconosciamo primariamente due macro-aree della ricerca internazionale rispetto all’archivio: una prima che lo utilizza come oggetto della ricerca (con interventi su archivi preesistenti); una seconda che lo utilizza come strumento d’indagine (qui l’archivio è la creazione ex-novo). Laraia sembra agire nella seconda macro-area, analogamente a ricerche come quella di Zineb Sedira, Adrian Paci, John Freyer e altri ancora.

In tal caso, l’analogia con gli artisti menzionati presuppone la similarità di intenti (non tanto dei processi), attraverso l’adozione di una prassi che, sottraendosi in definitiva all’evenienza oggettuale della materia, adotta un’attitudine performativa sfruttando la narrazione come mezzo espressivo. In altre parole: le pratiche non sono al posto delle rappresentazioni, ma le rappresentazioni si incarnano in pratiche, il che significa anche che le informano, le plasmano e le alimentano. Dunque per ciò che fa Laraia con il suo LAP, e come vedremo con il nuovo progetto CERchIO, è quello di cercare, nelle pratiche stesse, proprio in forza della loro dimensione precognitiva, modi di sfuggire ai codici dominanti della rappresentazione. In questo senso, la resistenza alla standardizzazione dell’esperienza sorgerebbe dalle possibilità intrinseche all’esperienza stessa. Rispetto alle strategie imposte dal potere, essa vi oppone delle tattiche, ridefinendo nuove possibilità di interagire creativamente con lo spazio, trasformandolo in un ambiente abitabile al di là e a prescindere dalle intenzioni di chi lo ha pianificato.

Veniamo dunque al progetto CERchIO (2024), che, partendo da una campagna di comunicazione, vuole indurre il pubblico a partecipare a un’azione performativa, radunandosi in piazze con caratteristiche architettoniche circolari, coinvolgendo le persone in un processo di co-autorialità. Un richiamo a rileggere lo spazio urbano all’insegna del “dialogo bidirezionale” in modo da renderlo luogo di un nuovo scambio emotivo. Ogni persona in un cerchio, parlando con la persona accanto, racconterà di sé stesso e ascolterà la storia del vicino, integrando così la propria individualità all’identità collettiva, cerchio dopo cerchio, partendo dal medesimo centro.

La debolezza di tale ricerca potrebbe venire fuori solo da un eventuale disimpegno dell’artista, nel senso della non riuscita del progetto. La forza sarebbe, di contraltare, la sua attuazione, che produrrebbe, più che una riflessione sul legame di autorialità tra opera e artista, l’immanenza di un processo relazionale e narrativo. Come poterla raggiungere se non attraverso la creazione di un’opera da intendersi come archivio di fatti, di azioni, di scambi orali? Gli ultimi due Art Market Report del TEFAF (2023-2024) mostrano un cambio di rotta, una compressione del collezionismo mondiale verso la pittura-mattone, più sicura, più stabile, molto meno eversiva. D’altronde come ci ricorda il buon vecchio Nietzsche (in Così parlò Zarathustra): “Bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante.”