Davide Balliano

Torino 1983
Vive e lavora a Brooklyn (NY)
Studio visit di Elisa Carollo
27 giugno 2024

              

C’è un ritmo formale che regola l’universo: una serie di strutture regolari che si ripetono fra micro e macro-cosmo. Il lavoro di Davide Balliano appare come un ricettacolo di queste geometrie universali: nel rigoroso alternarsi di linee rette e curve, di bianchi e neri e di pieni e vuoti, Balliano crea austere composizioni grafiche, geometriche e astratte, che si traducono in un ritmo ondulatorio regolare. Rispetto all’analisi operata nel precedente, questo studio visit vuole evidenziare come la manualità e materialità del gesto pittorico siano tra gli aspetti chiave nella pratica di Balliano, oltre che descriverne le recenti evoluzioni.

Ci incontriamo nel suo studio a Brooklyn, dove l’artista vive ormai da anni. Come egli stesso afferma, il lavoro ha ormai una propria natura autonoma, sviluppandosi all’interno di una griglia di un codice formale su cui l’artista lavora ormai da dieci anni, in una ripetizione di processi e forme che lascia però spazio a continue evoluzioni, in una meditazione costante con la materia. L’arte di Balliano è animata da questa tensione fondamentale fra ripetizione apparentemente meccanica e manualità creativa, fra spersonalizzazione e autorialità. Da una parte c’è infatti una costruzione rigorosa, ma anche rituale, che porta dalla programmazione del rendering digitale ad un disegno tecnico riportato a grafite, limitato a inchiostro e poi riempito da campiture di colore. Al termine di questo processo programmatico, l’artista interviene poi con una serie di ‘incidenti pittorici’, come graffiature, colature e estrazioni, che vanno ad erodere un’apparente armonia di facciata. Queste opere sono non a caso spesso accostate al minimalismo pittorico di Frank Stella, in una riduzione della pittura ai minimi termini di un esercizio formale e spaziale, che rifiuta qualunque narrazione o concetto – “what you see is what you see”. Se però si approfondisce il processo, il rapporto di Balliano con la tela appare molto più vicino invece ad un’artista come Robert Ryman, nel suo indagare “mai che cosa dipingere, ma come dipingere”, esplorando le infinite possibilità formali della stessa stesura pittorica, e alla gestione della superficie della tela e alla sua relazione con lo spazio.  Condividendo una devozione totale per il gesto pittorico, Balliano si avvicina così più a un approccio orientale di maestri come Dansaekhwa, per cui azione pittorica, idea e segno agiscono in tandem in un atto che è allo stesso tempo filosofico ed estetico, di analisi delle relazioni fra materia e creatore.

Al momento del nostro incontro, l’artista sta completando una nuova serie di opere destinate ad essere esposte con Cardi Gallery, in parte nello stand ad Art Basel, e in parte per la sua personale a Londra il prossimo ottobre. Per la prima volta, qui, ha introdotto il colore rosso, interrompendo così quel rigoroso monocromatismo o contrasto di bianco e nero per cui è noto. Un’evoluzione decisiva, determinata tuttavia più dalla materia pittorica stessa, grazie ad un nuovo acrilico rosso capace di garantire la stessa densità e saturazione in una sola passata, come il nero utilizzato in precedenza.

Nel raccontarmi di come alcuni curatori gli abbiano domandato perché la sua arte fosse importante nel nostro tempo, Ballano stesso dichiara di rifiutare qualunque presunta affermazione filosofica o narrazione esistenziale associata al suo lavoro.

L’unico intento delle sue opere è che possano essere un “detonatore di pensieri”, afferma, nell’incoraggiare l’osservatore a riconoscere il possibile equilibrio strutturale senza tempo attorno a noi, ma anche il ruolo dell’accidentalità di un atto minimo, che può interrompere questo equilibrio, per spingerlo a nuove variazioni ed evoluzioni.  All’austero ripetersi di un geometrismo programmatico, le opere di Balliano rischiano di essere viste come un mero esercizio tautologico, autoreferenziale, se non perfino meramente decorativo a complemento dell’architettura.

In realtà, è proprio nell’esercitare queste continue variazioni pittoriche minime che le opere dell’artista possono esprimere la classicità senza tempo di un ritmo formale che nella ripetizione accetta continue variazioni, per una continua evoluzione.