Vincenzo Schillaci

Palermo 1984
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Francesca Guerisoli
31 maggio 2024

Nello studio visit di Nicolas Martino, la pittura di Vincenzo Schillaci è descritta come mezzo con il quale esprimere senza comunicare, evocare senza rappresentare, per ricreare un ambiente originario nel quale i concetti hanno la possibilità di formarsi. Allo stesso tempo, osservo nel lavoro di Schillaci un profondo conflitto ormai pacificato con la pittura, che mi racconta di aver risolto quando ha capito che creando immagini stratificate avrebbe potuto scardinare i paradigmi estetici propri della pittura, portando in primo piano la sua relazione con il mondo. Verso il termine del nostro incontro, gli domando che tipo di rapporto abbia con la cornice: “La cornice è in grado di contenere qualsiasi tipo di esperienza. Per me tutto si svolge dentro il rettangolo metafisico del quadro; la cornice, nelle mie opere, demarca la loro esistenza entro un confine di categorie antropologiche: lo spazio e il tempo”.

Per Schillaci, la pittura è, da sempre, il mezzo privilegiato, a cui si riferisce anche quando produce video o sculture. Amplia la tela, costruisce oggetti a tre dimensioni, ingloba luce e tempo rimanendo fedele ai criteri del quadro, come testimonia la nuova serie di lavori Pàntasma. Si sente vicino all’approccio di artisti che usano mezzi diversi al fine di innescare l’immaginazione dello spettatore; è per questo motivo che, nel catalogo della mostra Rising of the Moon alla Galerie Rolando Anselmi che si è tenuta a Berlino nel 2021, ha pubblicato alcuni scritti di Gianni Caravaggio su temi cari a entrambi.

Le opere di Schillaci sono slegate dalle relazioni di somiglianza. Interroga costantemente la questione della rappresentazione: che cosa rende un quadro una rappresentazione? La somiglianza con la realtà, la nostra percezione o il nostro modo di porci di fronte a un’immagine? La conversazione sembra rievocare il Panofsky de La prospettiva come forma simbolica, che contiene a mio avviso una chiave di lettura fondamentale per approcciare la pratica di Schillaci. Il titolo dell’ultima serie realizzata, Pàntasma, gioca proprio su questo tipo di riflessione. Le opere sono oggetti che cercano di stimolare uno sguardo indagatorio sul mondo e su se stessi; sono dispositivi aperti, terreno di confronto attivo. In un primo momento l’approccio è con la superficie, per poi scoprirne la tridimensionalità. La relazione dell’opera con il pubblico avviene, dunque, includendo il movimento del corpo che abbraccia la volumetria dell’oggetto, ed è solo allora che ci comunica il suo divenire forma, rivelando all’osservatore i diversi strati di cui si compone e grazie ai quali esiste nella sua mutevolezza e intangibilità. Da questo rapporto tra osservatore e opera emerge la poetica dell’artista, che non indica come dover comprendere il mondo, ma al contrario suggerisce di cercare una lettura individuale. Siamo noi a interrogare le immagini; in questo senso ‘fare’ un quadro significa concepirlo come un oggetto che ha la capacità di vivere nel visibile allo stesso modo delle cose naturali.

La serie Pàntasma ha preso avvio a metà 2021 e costituirà il corpo principale della produzione dell’artista nel prossimo anno. Si tratta di un ciclo di opere che lavorano sul sorgere delle immagini, partendo dal rapporto tra fantasia e mimesi. Alla base c’è il nostro rapporto con il mondo: stabiliamo costantemente relazioni attraverso cui cerchiamo di raccontare un’esperienza, nel tempo, che viene costantemente perpetuata e cerca di diventare tangibile, fallendo costantemente. I riferimenti alla storia dell’arte e a elementi iconografici sono espedienti con cui l’artista cerca di portare l’osservatore all’interno di questo tipo di relazione. I primi due quadri che hanno dato vita alla serie sono stati esposti nella personale Rising of the Moon, in cui si configuravano come due fuori serie, allestiti accanto a quadri dove stralci di cieli, presi in prestito dai dipinti del Romanticismo tedesco, diventano ‘copie’ rimodulate in scala. A livello formale, le opere di Pàntasma si compongono di numerosi strati di inchiostri sovrapposti ritmicamente, pigmenti slegati e stucco marmoreo che conferiscono un aspetto magmatico alla superficie. Questo procedimento consente all’artista di far emergere toni e tracce stese a diversi livelli di profondità. L’immagine si fissa dopo diversi passaggi, il cui numero si palesa osservando i lati del quadro, e che in qualche modo ne costituiscono il modus operandi, lo stesso che permette alle tracce di memoria di affiorare dalla superficie. Ciò che questo procedimento è in grado di creare è quindi una forte illusione di memoria, grazie a segni che in realtà non indicano origini né raccontano storie, ma che si fanno attivatori di singolarità. La luminosità emerge non da valori plastici ma dagli strati più profondi, accendendo e rendendo cangiante la superficie nell’atto del movimento.

Dell’opera di Schillaci si può parlare solo dopo averla osservata di persona. Le riproduzioni fotografiche non sono in grado di suggerirne l’essenza, che appare svilita nella sua capacità di mutare e attivare l’osservatore. La dimensione sensibile è dunque il punto di debolezza della testimonianza fotografica, e al tempo stesso è anche il maggior punto di forza dell’opera. La fruizione avviene grazie alla capacità del quadro di assorbire il corpo. La particolarità di questa serie sta nel donarci oggetti instabili, nel senso che a variare è l’atto del guardare dell’osservatore, grazie ad accumuli, gradini che determinano soglie, e che conducono dentro all’opera.