Domenico Mangano & Marieke van Rooy

Palermo 1976; Weert 1974
Duo artistico formatosi nel 2014 ad Amsterdam
Studio visit di Alessandra Troncone
14 maggio 2024

Lo studio di Domenico Mangano e Marieke van Rooy si trova ad Albert Cuypstraat ad Amsterdam, dove ha sede uno dei più vivaci mercati della città. Illuminato da grandi finestre, è popolato di sculture in ceramica e numerosi disegni che mostrano la progettazione di forme e i test di colore in corso. Facendo base in Olanda, la presenza espositiva del duo è continuativa in questo Paese: tra le partecipazioni più recenti figurano quelle al Kunstinstituut Melly a Rotterdam (2021), al Noorderlicht Festival a Groningen (2023) e al Nieuw Dakota ad Amsterdam (2023). Tra il 2019 e il 2020 hanno partecipato al programma di residenze presso la Van Eyck Academie a Maastricht. Numerose sono tuttavia anche le mostre in Italia, tra cui si menzionano quelle alla Nomas Foundation nel 2017, al Museo Civico di Castelbuono nel 2022 (che ha presentato una nuova produzione realizzata grazie al bando PAC) e, attualmente in corso, la personale al Magazzino d’Arte Moderna a Roma, galleria con cui gli artisti collaborano stabilmente.

Nella pratica del duo convergono il background da artista visivo del primo e quello accademico, con studi in storia dell’arte e architettura, della seconda, approdando a progetti che fanno ricorso a un’ampia varietà di media. Centrale nel loro lavoro è l’approccio narrativo che prende vita dalla ricerca di archivio per poi evolvere in pratiche scultoree e partecipative. Parallelamente, il duo sviluppa una sperimentazione sui materiali che, a partire dalla ceramica, mette in campo la necessità di conoscerne le proprietà per testarne le possibilità, riguadagnando un rapporto più diretto con il fare prettamente manuale. Tra i temi che ricorrono nella loro produzione artistica vi è la caduta del welfare e le sue conseguenze sulle categorie più fragili della società, come avviene nel progetto a lungo termine e in più tappe The Dilution (2014-2021), da cui è stata prodotta anche la pubblicazione Homestead of Dilution (2017). Vengono qui presi in esame alcuni esperimenti degli anni Settanta per «diluire la pazzia nella normalità», nel tentativo di sperimentare pratiche di inclusività a contatto con i pazienti psichiatrici.

La volontà di coniugare l’approccio teorico con uno più pratico dà vita a risultati in grado di coinvolgere lo spettatore sia dal punto di vista concettuale che sensoriale. In tal senso, il lavoro di Mangano e Van Rooy appare stratificato e potenzialmente esperibile a più livelli, così come le loro sculture in ceramica si prestano ad essere animate dalla componente sonora e performativa.

Al centro della ricerca più recente è il concetto di simulacro, che rappresenta il ponte tra un’indagine di natura storica e la sua ricaduta sul contemporaneo. In particolare, Mangano e van Rooy partono dal caso delle catacombe di Valkenburg, città dell’Olanda meridionale dove in una cava di tufo abbandonata sono state ricostruite con precisione di dettaglio alcune catacombe romane, utilizzando come riferimento alcune illustrazioni del primo Novecento. L’idea di una replica fedele che annulla la veridicità storica ai fini dell’intrattenimento, diviene motivo per gli artisti per riflettere sulle implicazioni di tale fenomeno, nonché sulla dicotomia che viene a crearsi tra icona e simulacro. A partire da questa ricerca, il duo ha prodotto una serie di opere, alcune delle quali presenti nella mostra al Magazzino d’Arte Moderna, nella quale emerge anche la sperimentazione con il bronzo per la creazione di sculture che dissacrano l’immaginario modernista e lo trasformano in una sorta di souvenir.

Mentre la produzione scultorea insiste su un’ambiguità del materiale, quella performativa appare molto diretta e non sottoposta allo stesso processo di trasfigurazione: in questo caso, le ricerche individuali sembrano non amalgamarsi completamente, quasi come se animate da interessi diversi, seppur mai discordanti.

A fare da collante resta un approccio ironico che, pur guardando a episodi storici e tematiche attuali di grande problematicità, riesce a mantenere un tono disincantato per creare una maggiore empatia con il pubblico. Ne è un esempio anche la ricerca in corso che scava alle origini del rapporto tra ecologia e attivismo, eleggendo come punto di partenza il libro Club of Rome,del 1972, per promuovere performance partecipative nei Paesi del mondo in cui è stato tradotto, privilegiando immediatezza comunicativa e la ricerca di un rapporto più diretto con lo spazio pubblico.

Foto di Robert Goodman