Francesco Pacelli

Perugia 1988
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Elisa Carollo
28 dicembre 2023

Francesco Pacelli esplora da tempo i processi alchemici di trasformazione della materia, formalizzandoli attraverso media diversi. Come notava Edoardo De Cobelli nel precedente studio visit, Pacelli porta avanti la sua ricerca con un rigore metodologico che è quasi scientifico, come rivela anche la tassonomia di materiali assiduamente studiati. Fin dal primo incontro, questo era uno degli aspetti che mi aveva affascinato; tuttavia, osservando la sua produzione più recente mi ha incuriosito come l’artista stesse spingendo in profondità le sue speculazioni in quella che pare non solo una ricerca sui materiali a fini estetici e artistici, ma piuttosto un’indagine ontologica sulle essenze e sulla struttura stessa del reale.

Quando ci incontriamo per parlare dei suoi ultimi lavori in mostra a Londra da Des Bains, Pacelli confessa come ci sia stato più di un anno di ricerca, innanzitutto sui materiali e le loro proprietà, per espanderne le possibilità in termini di forme e associazioni del tutto inaspettate. Le interrelazioni tra natura, artificio e storie cosmiche sono da sempre al centro della sua ricerca, in uno studio della forma intesa innanzitutto come processo, fenomenologia in atto, più che qualcosa plasmato dall’artista ─ un approccio che rimanda in qualche modo all’insegnamento della stessa Arte povera. Non stupisce che Pacelli sia stato assistente di Roberto Cuoghi, condividendo con il medesimo un approccio alla pratica artistica basato su ricerca e processo, nell’esplorare possibilità alternative di coesistenza fra storia umana, civilizzazione e natura. Questa tensione fra intervento antropico e cicli naturali è tema centrale in molte pratiche contemporanee che cercano di immaginare possibilità di coesistenza e collaborazione alternative fra uomo e natura.

La ricerca di Pacelli pare tuttavia avere intrapreso ad oggi vie ancor più filosofiche ed esistenziali, nel sondare il senso del reale, fra teorie plausibili e immaginifiche. Come l’artista stesso osserva, aldilà delle presenze fisiche che ci circondano, la nostra concezione della realtà è permeata dalla relatività, che dipende dalle nostre capacità attuali di percepirla, spiegarne i fenomeni e poi descriverla sulla base degli strumenti, dei codici linguistici e dei valori che abbiamo a disposizione ad oggi, ma che sono in costante, possibile evoluzione.

Le nuove opere sono concepite da Pacelli come un arcipelago di corpi che fluttuano fra materia e antimateria: Utopia, forma nello spazio un ecosistema multimaterico in cui utopia e ucronia si mescolano, configurandosi come un paesaggio unitario, sebbene rifiuti ogni lettura prestabilita, apparendo, piuttosto, in potenziale costante mutazione. L’intera serie vuole riflettere su come la nozione di utopia sia cambiata nel tempo: traendo ispirazione dal trattato di Tommaso Moro, questo insieme di forme si manifesta nello spazio generando «possibili scenari alternativi legati a modelli sociali che, similmente, cercano costantemente di realizzarsi, fallendo però nella loro attualizzazione». Le opere si configurano di fatto come modelli fenomenologici che sfiorano l’incomprensibile, ma sono al contempo già estremamente reali nella loro presenza. In questi nuovi lavori si evidenzia un’interessante tensione crescente anche fra intervento antropico e natura: strutture rigidamente geometriche contengono corpi dalle morfologie quasi geologiche e informi che resistono, nelle loro irregolarità, a ogni costruzione esterna sia fisica che linguistica. Così come si sta definendo ad oggi, la ricerca di Pacelli pare più vicina a un’ontologia delle cose nello stato attuale della civilizzazione, tradotta in opere che risultano incarnazione di fenomenologie possibili di un “reale” sospeso fra spazio e tempo e, per questo, in qualche modo universale.

Questa dimensione sempre più filosofica rischia di rendere il suo lavoro sempre più cripticamente astratto e, seppur mantenendosi in una dimensione di misteriosa e visionaria fenomenologia, può risultare ostico e difficilmente accessibile per gran parte del pubblico attuale, abituato a esperienze visive ed estetiche molto più dirette.

Navigando tra micro e macrocosmo, ad esempio identificando i principi di simmetria perfetta / leggera asimmetria, Pacelli mette in scena situazioni che costringono a ridiscutere la struttura delle cose e della natura della percezione come profondamente instabile e intrinsecamente relativa. Un’indagine sicuramente rilevante in un momento storico e sociale dove i confini fra realtà e irrealtà, tra natura e civiltà, fra immaginabile e materiale sono messi sempre più in discussione.

Foto Studio Adamson