Luca Bertolo

Milano 1968
Vive e lavora a Seravezza
Studio visit di Angel Moya Garcia
24 dicembre 2023

Luca Bertolo ha frequentato il corso di laurea in Scienze dell’Informazione all’Università Statale di Milano, abbandonando gli studi mentre stava preparando la tesi in Logica matematica e trasferendosi a Londra. Tornato in Italia, lavora come bibliotecario per il comune di Milano e si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove si diploma in pittura nel 1998. Una serie di interessi apparentemente contraddittori che ritroveremo successivamente in una ricerca poliedrica, ma sorprendentemente unitaria. Sempre nel 1998 si trasferisce a Berlino, dove rimane fino al 2004, per poi tornare in Italia. Dal 2015 insegna Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna.

Il forte interesse per la pittura trova un momento di sviluppo nel confronto con Giuseppe Maraniello, suo professore all’Accademia di Brera. È proprio il bisogno di difendere questa sua vocazione specifica, in un contesto culturale che la osteggia, che lo rende consapevole di un desiderio, inizialmente confuso, di voler contribuire a traghettare la pittura verso la contemporaneità. La mancanza di un centro stabile dove sentirsi a casa ─ geografico, sociale, famigliare ─ si riflette verosimilmente nel continuo attraversamento di stili e modi, un vagare trasversale, sebbene mai casuale, che pian piano diventerà esso stesso una sua peculiarità stilistica. Un medium d’elezione, dunque, in un’epoca definita “postmediale”: la pittura come messa in forma di sensazioni, ansie, paure, piacere o desideri che non verrebbero espressi ed elaborati in altro modo. Ma Bertolo è anche convinto che fare arte non sia, o perlomeno non solo, una modalità per esternare un sentimento, bensì una possibilità di rendere produttive forze che altrimenti diventerebbero distruttive. In questo senso, considerando l’arte come un processo alchemico e l’artista come un trasformatore di forme, i suoi lavori sono caratterizzati da macchie, più che da figure, da negazioni e cancellazioni più che da affermazioni o descrizioni, da suggestioni o sollecitazioni, più che da descrizioni pedisseque della realtà.

La relazione tra un’immagine e la fisicità della nostra esistenza diventa per lui la possibilità di mettere in scena la dialettica tra il supporto e l’immagine. In quest’ottica, Il quadro è un dispositivo capace di offrire infinite possibilità di sperimentare la dicotomia tra la presenza fisica di un oggetto e la parvenza fantasmatica dell’immagine. Una manifestazione della tensione che si instaura tra questi due strati in cui lo spazio interstiziale diventa luogo di indagine, accomunandolo a una serie di artisti la cui urgenza è incentrata sui limiti ma, soprattutto, sulle possibilità dello spazio pittorico, fisico e concettuale. Allo stesso tempo, la curiosità e l’interesse verso la letteratura, la filosofia e, forse di conseguenza, la scrittura critica lo inseriscono tra gli artisti più raffinati culturalmente del panorama artistico italiano, a maggior ragione se consideriamo come lui a volte si senta affine, altre volte ‘soccombente’ (per dirla con Thomas Bernhard), rispetto alle ultime generazioni che stanno finalmente sdoganando un linguaggio e un approccio che sente molto vicino e di cui spesso è stato precursore o punto di riferimento. 

Attualmente sta iniziando a lavorare alla sua prossima mostra personale che si terrà al CEAAC – Centre Européen d’Actions Artistiques Contemporaines di Strasburgo, a cura di Elena Volpato e Alice Motard, prevista tra giugno e settembre del 2024, grazie al sostegno della dodicesima edizione dell’Italian Council.

Durante lo studio visit emergono sicuramente due problematiche o criticità, come il pericolo di rimanere impigliato all’interno di un discorso tecnico e concettuale sulla pittura e, soprattutto, la coesistenza di stili diversi, la pulsione alla variazione, la produzione diversificata, il continuo cambiamento formale, ovvero la difficoltà per un osservatore di individuare un file rouge che possa comporre una struttura d’insieme organica. Tuttavia, penso che nel celebre aforisma di Walt Whitman “contengo moltitudini” potremmo trovare una legittimazione della sua natura come artista molteplice, annullando eventuali contraddizioni per percepire una diversità che non cade mai nella trappola della riconoscibilità, dei codici stabiliti, delle aspettative irrisolte. La necessità di una completa libertà per imboccare tutte le strade che ritiene necessarie di volta in volta si riscontra in una tensione sorprendentemente unitaria, un approccio colto ma immediato, ostinato ma limpido, discontinuo ma estremamente armonico. Resistendo alle richieste (interne ed esterne) di omologazione formale, Bertolo sembra coltivare uno spazio di libertà entro cui continuare a indagare la congiunzione delle dissonanze come un luogo utopico e reale al contempo.