Iva Lulashi

Tirana 1988
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Elisa Carollo
25 novembre 2023

La pratica di Iva Lulashi ha esplorato per anni i territori della sensualità, dell’erotismo e delle rappresentazioni di essi. Le sue opere vivono spesso nel limbo fra ricordo e fantasia e in una tensione fra piacere, desiderio, pericolo di possesso e di controllo. Una tensione che è alla base della pulsione erotica, spesso esplorata con libertà e nella sua naturalezza, ma anche nelle sue distorsioni, rivelando le dinamiche che la governano.

Si è già scritto, nel precedente studio visit a cura di Giacinto Di Pietrantonio e di Adrian Paci, di come la pittura dell’artista sia partita dalla narrazione del passato del proprio Paese, in un’operazione di appropriazione e risemantizzazione di immagini di propaganda del regime comunista albanese, dal video alla tela. Tuttavia, poco si è scritto di come l’artista sia arrivata a tale narrativa visiva, un’esperienza che affonda nel suo inconscio personale e su cui ho voluto maggiormente indagare: il punto di vista di una giovane donna alle prese con i filtri visivi del patriarcato. Come Iva ha raccontato, quando è arrivata in accademia un professore l’ha forzata a confrontarsi con la rappresentazione della figura maschile. Da qui, di fatto, è iniziata la rappresentazione del padre da parte dell’artista: una figura maschile adulta, persa troppo presto, pochi anni dopo l’arrivo in Italia, per capirne davvero identità e storia. Una figura delicata a livello psicologico, emotivo e quindi anche dal punto di vista della sua rappresentazione.

Il confronto con il passato recente del suo Paese, precedentemente descritto, è iniziato da una riscoperta personale e molto intima attraverso fotografie e documenti visivi di un archivio familiare, per poi estendersi e scoprire una parte non ancora elaborata di sé, in termini di percorso non solo identitario, ma anche emotivo ed esistenziale. Parlare delle relazioni di genere, soprattutto oggi, significa, infatti, anche indagare i modelli di uomo e di donna che ci portiamo dentro, mutuati tanto dalla storia personale che dai rapporti e dalla cultura in cui viviamo.

L’opera di Iva Lulashi si configura quindi come una valida testimonianza delle dinamiche sociali e narrative del passato recente dell’Albania ma, a mio parere, anche dell’Italia e dell’Europa, perlomeno delle loro ultime generazioni.

La sua riflessione si svolge in una singolare intersezione storico-culturale che connette Paesi dell’ex blocco sovietico e l’Italia a confrontarsi con i primi flussi migratori. Da una realtà di controllo sociale e di censura da parte del regime albanese, da cui è fuggita al seguito della propria famiglia, a quella dell’Italia in piena era berlusconiana, apparentemente liberale ma ancora chiusa e conservatrice, soprattutto nella realtà provinciale di Pordenone dove si è trasferita. Questo percorso ha sicuramente contribuito ad acuire la capacità di osservazione dell’artista, che informa gran parte della sua produzione.

In questo senso, l’arte di Lulashi diventa anche un’occasione pressoché unica, nello scenario pittorico italiano, di confronto semiotico, sociologico e psicologico tra diversi meccanismi di narrazioni collettive, la propaganda dei regimi e i nuovi sistemi di controllo e indottrinamento dei sistemi neoliberali.

A questo punto della sua ricerca, inevitabile sembra il confronto con il tema del capitalismo erotico: la strumentalizzazione e capitalizzazione dei corpi è già in parte un territorio da lei sondato, ma l’artista sembra averne acquisito una maggiore consapevolezza, estendendo la sua indagine anche ai meccanismi di potere e dominio fra generi e come questi vengono rappresentati in immagini. Questa analisi avvicina in qualche modo Lulashi alla poetica di altre artiste donne che hanno indagato con il medium pittorico la percezione e l’espressione della sessualità femminile, come Lisa Yuskavage, Lisa Brice, Marlene Dumas o Tala Madani.

Un possibile limite che impedisce a Iva Lulashi di estendere la propria narrativa a un contesto più globale, è la mancanza di esperienze internazionali, e la conseguente consapevolezza di quanto il suo immaginario possa risuonare in altri contesti geografici e culturali.

Ciò che rende rilevante il linguaggio pittorico dell’artista è, infatti, la capacità di analisi sottile dei meccanismi di retorica visiva nella rappresentazione del rapporto fra generi e di come narrazioni, immaginari e conseguenti dinamiche si sono sviluppati e sono stati poi legittimati nella società contemporanea.

La pittura di Lulashi disarticola queste dinamiche, riportandole a motivazioni sociali, che attengono alle relazioni nella nostra società e al loro codificarsi attraverso stereotipi, convenzioni di una struttura simbolica patriarcale di rapporti tra i sessi. L’artista denuncia questo sistema di rapporti storicamente, economicamente e socialmente strutturati su un’ineguale distribuzione di potere nelle relazioni tra uomo e donna, opponendovi l’espressione di un erotismo femminile libero e spontaneo.

Foto di Cary Whittier