Chiara Camoni

Piacenza 1974
Vive e lavora a Fabbiano
Studio visit di Edoardo De Cobelli
19 novembre 2023

Angel Moya Garcia ben racconta la natura della pratica collettiva di Chiara Camoni nel primo studio visit a Fabbiano, un piccolo paese alla base delle Alpi Apuane. Paesino di appena ottanta abitanti dove l’artista vive la maggior parte del tempo, Fabbiano si anima spesso delle numerose persone che vanno ad aiutare Chiara e che diventano parte del processo di creazione, entrando a far parte del Centro di sperimentazione, la rete dei suoi collaboratori.

Le opere prendono forma e contenuto attraverso esperienze collettive, come risultato di un processo di condivisione creativa e conviviale. Nascendo di sovente dalla ricerca di oggetti trovati e materiali naturali, rispecchiano anche l’ambiente circostante e si fondano su pratiche relazionali, che spesso si ritrovano in mostra. La personale del 2022 intitolata La distruzione bella, presso SpazioA, presentava al centro della galleria un forno in attesa di bruciare oggetti e gioielli di valore, che le persone potevano portare per trasformarli in qualcos’altro o semplicemente distruggerli, come operazione di liberazione catartica. Quando una mostra, o un progetto inaugura, tuttavia, il momento di generazione dell’opera è generalmente concluso. La ritualità del fare insieme si manifesta come espressione di collaborazione nel tempo condiviso, quello di produzione e di co-creazione. Questa forma di ritualità collettiva ha una natura contestuale e immanente, che si distingue dalla dimensione spirituale e trascendente che altri artisti e artiste abbracciano sulla scena internazionale, pur partendo da simili premesse. Tabita Rezaire, ad esempio, nel suo centro Amakaba in Guyana francese, evoca l’idea della condivisione e dell’interdipendenza partendo dal territorio, ma la pone al crocevia tra arte, agricoltura e filosofia spirituale. Gli artisti che coinvolgono ampie reti di collaboratori nel processo creativo delle loro opere, inoltre, non sono molti, se non per specifici progetti, mentre nella maggior parte dei casi tendono a formarsi come collettivi.

La coralità che si manifesta durante la nascita dell’opera è, nel caso di Camoni, la potenza creatrice di un collettivo mutevole. L’installazione Kabira, ad esempio, nasce durante un workshop avvenuto al Museo Carlo Zauli, mentre in occasione di altre mostre, salvo stretti collaboratori, le persone coinvolte sono sempre diverse. La sensibilità verso questo approccio aperto alla creazione artistica è tanto presente in Italia quanto in Francia, dove l’artista ha spesso esposto e dove è ancor più presente una particolare attenzione verso l’uso degli elementi naturali, come ad esempio i fiori, tema di una collettiva al MAMAC di Nizza.

Gli elementi naturali sono d’altronde il filo conduttore della sua intera produzione artistica, che sembra far emergere, come delle epifanie, manifestazioni scultoree all’interno del ciclo di vita del paesaggio, che ricordano l’evolvere delle stagioni, oltre che un’antica semplicità premoderna, alchemica ed evocativa. Il senso di appartenenza delle opere al contesto è tale da dare l’idea che questo, un giorno, avrà modo di riprendersi le opere composte di erba, foglie, ceramiche, fiori, cotoni e che queste torneranno a far parte del contesto naturale da cui provengono.

Tra la fine di quest’anno e l’anno prossimo Camoni è coinvolta in numerosi progetti, dal Mart di Rovereto ad A Tale of a Tub, Rotterdam, fino a una mostra personale in Hangar Bicocca, in cui si cimenterà con un esteso spazio espositivo. Qui, la grandezza e l’impatto delle opere implicitamente richiesti dal luogo non verranno raggiunti con una moltiplicazione in scala dei lavori, ma con l’idea di intervenire direttamente sullo spazio espositivo, cambiando il rapporto tra i due. L’artista non ama infatti operare in una dimensione monumentale e sarà interessante vedere come userà l’estensione dell’Hangar.

Riprendendo infine la questione dell’autorialità intorno al lavoro dell’artista, che sollevava Moya Garcia e che rimane parzialmente una questione aperta, almeno all’interno della sua riflessione, io credo che questa si possa superare nel momento in cui Camoni è ideatrice, voce e canale mediatore di una serie di espressioni che, anche quando non le appartengono, si manifestano per e attraverso il suo lavoro.