Mara Oscar Cassiani

Pesaro 1981
Vive e lavora in Italia, all’estero e sul web
Studio visit di Angel Moya Garcia
5 novembre 2023

L’annullamento di una divisione tra realtà online e offline, la definizione di artista wifi based che lavora nel campo della performance, della coreografia e dei linguaggi digitali e la sua ricerca poliedrica mi portano a conoscere lo studio di Mara Oscar Cassiani con la mediazione di uno schermo. Cresciuta in un ambiente rurale, diventa fondamentale per le sue pratiche la formazione preaccademica, quando l’arrivo del computer nell’ambito domestico, naturale conseguenza del capitalismo anni Ottanta, la porta a incuriosirsi, fin da bambina, alla programmazione. In seguito, l’interesse si sposta verso le periferie sociali e quelle digitali, mentre nella sua formazione ha una forte rilevanza l’iconologia e l’iconografia e, successivamente, la performance.

La sua ricerca è incentrata sulla creazione di un’iconografia contemporanea, in cui le nuove grammatiche e i rituali sono mutuati dal mondo di Internet, dalle sottoculture, dagli avatar e dall’immaginario del ‘brutal capitalismo’. Il rapporto che intrattiene con il pubblico, sia live che mediato, viene esplorato in allestimenti performativi e in luoghi open space o in spazi virtuali open source. Le performance risultanti sono un flusso di immagini, un continuo scroll down tra estratti di cultura avatar, folklore rituale, folklore digitale e riappropriazione del linguaggio capitalista. In particolar modo, Cassiani analizza la condizione dell’essere umano/user/utente orfano delle vecchie ritualità e indaga come queste stiano affiorando in modo inconsapevole e spontaneo nell’ambito digitale. Un lavoro, a volte sotterraneo, per sollecitare lo sviluppo del linguaggio visivo sul web e analizzare, studiare, nutrire e accrescere l’immaginario collettivo di queste ritualità attraverso pratiche di condivisione.

L’interesse per le culture folcloristiche online e offline, le sottoculture della rete che hanno plasmato l’estetica dei social, la street culture, il clubbing, gli ambienti underground, le immagini vernacolari, la fantascienza e le ricerche femministe confluiscono per ribaltare ogni possibile tradizione. Allo stesso tempo, l’annullamento dell’io a favore del noi e l’irrilevanza dell’autorialità individuale la inseriscono in un cambio di paradigma che vede tutta la sua generazione interessata alla condivisione e alle pratiche collettive come elemento sine qua non per una definizione identitaria.

In questo momento sta lavorando prevalentemente al lavoro Ai Love, Ghosts and Uncanny Valleys <3. I Broke Up with My Ai and Will Never Download Them Again, nato nelle periferie brutali delle comunità Incel (celibi involontari) e che analizza lo sviluppo delle relazioni e delle interazioni tra utenti e intelligenza artificiale. Il progetto esplora in termini speculativi la possibilità di innamorarsi di un’intelligenza artificiale e le diverse implicazioni di questo tipo di relazione, dal ghosting all’oppressione, riflettendo ironicamente sulle possibili conseguenze finanziarie ed emotive. Nel lavoro, che viene formalizzato attraverso un’installazione con le immagini di queste amanti avatar reificate e sessualizzate, diventa imprescindibile lo storytelling, l’oralità come modalità di trasmissione del contenuto per oltrepassare ogni barriera moralista e stabilire un’empatia tra gli utenti di queste comunità e i loro avatar. Allo stesso tempo, Cassiani porta avanti il lavoro Spirit e Be Water My Friends in cui indaga le pratiche rituali, la trasfigurazione delle tradizioni pastorali in una versione tecno-digitale attraverso il parallelismo tra i carnevali sardi e la cultura rave, evidenziando come i segni del ballo rituale in senso espanso stiano riaffiorando.

Il suo tentativo potrebbe sembrare limitato ad avviare un processo di lavoro rispetto ai parametri, ai codici o alla struttura iniziale, affidandosi a un’apparente casualità per lo sviluppo finale e delegando la responsabilità dell’esito formale. Così come è lecito interrogarsi su cosa rimanga di questi processi e su quanto il lavoro, vincolato com’è al retaggio personale dell’artista, al suo vissuto e a codici sconosciuti ai più, possa risultare difficile da interpretare e decodificare.

In questo senso e come risposta a queste criticità, l’artista dichiara la propria responsabilità rispetto all’avvio di narrazioni che poi proseguono a prescindere da lei, in un ambito collettivo e condiviso. Le tracce di queste pratiche rimangono come archeologia dell’effimero, detriti, segni corrotti, feticci che potenziano uno sgretolamento, inseguono l’immaterialità e si inseriscono in un processo più ampio, quello di un pubblico che, ancorché ignaro dei codici delle sottoculture di cui l’artista si avvale, è in grado di decodificarli e veicolarli, frantumando ogni possibile limite, azzerando ogni possibile pregiudizio.