Ludovica Anversa

Milano 1996
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Francesca Guerisoli
3 ottobre 2023

L’opera Homley Languor (2021), esposta al museo MAC per il Premio Lissone 2023, mi ha avvicinato al lavoro di Ludovica Anversa. Il dipinto, che della figurazione trattiene pochi elementi essenziali, ha una capacità attrattiva magnetica. Nello studio dell’artista, le opere in visione, alcune in lavorazione e altre prodotte nell’ultimo anno e ancora passibili di revisioni, confermano il mio interesse per il suo lavoro. Anversa coglie e rielabora elementi della realtà così come fonti iconografiche di diversa natura (radiografie, fotografia sperimentale, radiazioni, fossili, impronte) e li trasforma in immagini ambigue, in visioni oniriche del vivente o di ciò che ne rimane, di brandelli di carni e ossa che affermano la loro presenza emergendo da fondi densi di colore e velature generatrici di atmosfere nebbiose.

Il lavoro di Anversa esprime alcuni tratti tipici della sua generazione: un’indagine identitaria e introspettiva che parte dal corpo, da suoi elementi fisici che seleziona, reinterpreta e restituisce trasformati, conferendo all’immagine una carica emotiva e tratti che vanno oltre la corporeità, suggerendo una condizione mentale sospesa tra un ‘è stato’ e ‘un sarà’, tra vita e morte, tra naturale e artificiale. I contrasti luministici che creano scintille su alcune aree delle forme che emergono dal fondo sono bagliori affilati che rendono vibrante la tela. Non vi è traccia di narrazione: tutto è giocato nella presentazione di un oggetto che si palesa agli occhi dell’osservatore come se fosse immerso nel liquido amniotico, o nel magma, in un’attesa indefinita, congelato nel tempo e nello spazio. Soprattutto nei dipinti di medie e grandi dimensioni, riscontro la capacità di Anversa di trattenere l’oggetto sospeso tra lo slancio di una vitalità estrema e la traccia di un dolore. Il suo lavoro, a mio avviso, traduce efficacemente una condizione generazionale, riuscendo a travalicarne i confini per allargarsi alla dimensione esistenziale che accomuna tutti.

Attualmente Ludovica Anversa lavora soprattutto a tele di piccole dimensioni nelle quali l’astrazione si fa sempre più evidente. Uno dei suoi maggiori riferimenti è Forrest Bess (1911-1977), pescatore e pittore astratto statunitense che dipingeva ciò che gli appariva in sogno. In ogni tela l’impronta del proprio corpo costituisce l’elemento modulare che, ripetuto seguendo configurazioni diverse, crea una composizione astratta. L’impronta sottolinea il concetto di passaggio, di presenza di un’assenza; la sua identificazione è sfuggente ed essa diviene di volta in volta dente, perla, o conchiglia che cinge, ripetuta, le immagini astratte sottostanti che emergono in dissolvenza. Come per le tele di grandi dimensioni, l’artista dà potere alla natura polimorfa dell’immagine aprendo a interpretazioni infinite. Ricerca sempre l’appiglio figurativo che crea un contrasto con la visione astratta. Elementi fitomorfi, a volte fluttuanti, vengono scelti per il valore astratto, per il disturbo formale della visione che creano. Le sue sono immagini che evocano elementi famigliari ma al tempo stesso sfuggono al riconoscimento, quasi in un gioco perpetuo di affermazione e negazione. L’interpretazione dell’oggetto, perciò, non è mai stabile. Le opere di grandi dimensioni su cui sta lavorando presentano figure mutevoli che prendono corpo da metamorfosi, accoppiamenti di insetti o alieni, emergendo dal caos di forme sottostanti, in certi casi più dinamico e violento, in altri ovattato e silenzioso. Un’opera, in particolare, presenta una forma che richiama un’orchidea con bacini sdoppiati, che sarà immersa in velature che renderanno un effetto di nebbia, richiamando il dipinto del Premio Lissone. Questa serie è caratterizzata dalla presenza di bagliori di luce e frammenti di corpi che si stagliano su un colore dominante. I dipinti di grandi dimensioni evolvono da quelli piccoli e consentono uno sviluppo di forme che si mostra all’artista solo nell’atto del suo farsi. Non è raro che Ludovica torni su lavori già conclusi, aggiornandoli.

L’intera produzione di Ludovica Anversa è caratterizzata da una forte coerenza. Che si tratti di taccuini, disegni, dipinti grandi e piccoli, l’instabilità dell’identificazione degli oggetti pur nella loro (presunta) familiarità, unita alla posizione scomoda del voyeur nella quale ogni suo lavoro ci costringe, rende le opere poco rassicuranti e generatrici di un’angoscia ovattata.