Diego Miguel Mirabella

Enna 1988
vive e lavora a Roma
studio visit di Daniela Trincia
24 ottobre 2023

Come Daniela Bigi, incontro Diego Miguel Mirabella nella pausa al termine di un viaggio e la programmazione del prossimo che, probabilmente, sarà a gennaio in India. Viaggi che, come è stato ben chiarito, non sono realizzati né per avventura né per amore dell’esotico, ma per la ferma necessità di conoscere ed esperire in prima persona quei territori e le loro memorie. Il suo luminoso e spazioso studio, condiviso con Marco Emmanuele, si affaccia sull’Aniene ed è pieno di lavori che sviluppano i diversi progetti che porta avanti contemporaneamente. Tutti centrati, però, sulla decorazione. Per questo il bancone da lavoro è ricoperto da fotocopie di dettagli di ornamenti, di epoche e geografie diversissime, che studia, ricopia, scompone e ricompone in tavole, tele, sculture. Nonostante ciò che maggiormente lo identifica siano i ‘mosaici letterari’, si dedica a differenti ricerche, che riguardano materiali, esecuzione dei lavori. Recentissima è la sua installazione permanente Il buffone, ad Agnone: un albero in bronzo, quanto di più distante dal viandante buffone di corte, completamente ricoperto di decorazioni che raccontano diverse storie, tra cui quella della più antica fonderia di campane pontificie, qui operante dall’XI secolo. L’utilizzo di tecniche antiche e sapienze tradizionali, a volte saldate ad espressioni intime e lapidarie, aggiungono alle sue opere quell’allure mista di nostalgia e riattualizzazione.

Sebbene si possa avere l’impressione di una ‘boettiana’ filiazione, Mirabella non ha mai giocato con le parole e, se anche si avverte una vicinanza con le secche didascalie di Kruger o con gli enunciati sibillini di Weiner, è più nipote dei poeti Novissimi e del Gruppo 63. Non a caso, si sente uno ‘scrittore visivo’.

Parlare una lingua antica, comprensibile e familiare ai contemporanei, è la reale forza del lavoro di Mirabella. Riprendere tecniche e tradizioni che, apparentemente, sono esclusivamente decorative, per narrare storie e far sì che quelle tecniche e tradizioni continuino a vivere perché parte del DNA di intere comunità, trasforma il suo lavoro in una sorta di custode che, al tempo stesso, costruisce una densa ed estesa mappatura del decorativo. Un linguaggio diffuso in ogni epoca e in qualsiasi cultura che per essere conosciuto e riconosciuto necessita di tempo, un altro punto fermo della sua produzione artistica.

Oltre ai disegni, nei quali realizza dei veri melting pot decorativi, che sembrano evocare le vetrate medievali o tappeti persiani e dove confonde il calligrafismo della sua firma, lavora su zucche, tipiche di alcune regioni del Perù (El asunto Miguel), su vetro, sul quale stende acquarello e inchiostro indiano (Espejos), sulle suole delle scarpe, tempestate di decorazioni (Decorato decoroso distratto).

I diversi progetti che sviluppa danno un senso di stordimento, di assenza di coerenza, di un incedere scoordinato.

Ma è proprio l’utilizzo degli elementi decorativi che investe il suo lavoro di armonia, di omogeneità, di valore e significato. Attraverso un racconto che, partendo dal personale, accoglie e si confonde con quelli delle tradizioni che coinvolge, facendosi attraversare dalla loro sapienza e cultura, racconta storie che solo con un livello alto di attenzione possono essere individuate e dipanate. In questo modo crea una sorta di enciclopedia, allo stesso tempo personale e universale, che muove innanzitutto da un accumulo di suggestioni.